C’è una pietra bianca che gonfia il ventre della terra in via Madonna di Fatima. E’ quadrangolare ed è il fondamento di uno scheletro in muratura che, giorno dopo giorno, si allunga verso il cielo. Porta incisa una citazione del poeta e drammaturgo Paul Claudel: “Non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’Opera che la ha scelta”.
La missione per cui è stata scelta è quella di essere il “seme” della costruenda chiesa Nostra Signora Di Fatima. Per l’alto compito, ha una madrina e un padrino d’eccezione. La patrona Madonna di Fatima, paziente destinataria dei 5 Ave Maria “prescritti” dal parroco Antonino Gerbino alla comunità di fedeli perché si desse finalmente il via ai lavori dopo anni di attesa e cavilli burocratici. Eccellente capocantiere è, invece, San Giuseppe. Dirige i lavori, dirime gli alterchi e le incomprensioni che si consumano all’ombra del suo simulacro e accetta le offerte di chi vuol dare un contributo alla causa.
Al cospetto di protettori di simile caratura, il 13 maggio 2014 questa pietra ha avuto finalmente la sua posa. Quel pomeriggio, alla presenza di autorità militari e civili, una processione guidata dal vescovo Pietro Maria Fragnelli si mosse dalla chiesa esistente al luogo dove sarebbe sorto il cantiere. Toccò alle mani dei muratori affidare al suolo la “primogenita” mentre a quelle meno esperte del vescovo e di don Gerbino spettarono i primi colpi di calce, accompagnati da una benedizione. Tutto fu compiuto e un volo di palloncini gialli e bianchi, liberati dalle mani dei più piccoli, si alzò in cielo mentre le firme delle autorità religiose e civili e degli addetti ai lavori venivano apposte sulla pergamena trasmessa ai posteri a memoria di quel che fu. Ciò che la carta non racconta, però, è come l’emozione assunse la voce in festa dei bambini, si colorò dell’azzurro dei foulard indossati dal coro parrocchiale e si profumò delle fragranze dei fiori che vestirono tutto di bellezza. Non fa parola neppure della commozione di una comunità parrocchiale nell’imparare che costruire una chiesa vuol dire prima di tutto “costruirsi chiesa”.
E’ quasi trascorso un anno dalla posa e quella prima pietra non è più l’indiscussa protagonista, non cattura gli occhi lucidi dei fedeli né gli obiettivi ansiosi delle telecamere come il primo giorno.
Da allora a quella pietra ne sono seguite altre, alla frase dell’autore francese si sono sovrapposte quelle dei laboriosi operai che ogni giorno con le loro mani danno forma all’edificio.
C’è una speranza che ha messo radici nel grembo della terra, in un quartiere di confine: quella di saper essere comunità dentro e fuori le mura. Pietre vive, le une accanto alle altre.