DOMENICA DELLE PALME (B)

DOMENICA DELLE PALME (B)
Ger 31,31 – 34 ; Dal Salmo 50 (51); Eb 5,7 – 9 ;
GV 12, 20 – 33;

TEMA: Discepolato

• Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo catturare Gesù con un inganno, per farlo morire.
I sommi sacerdoti e gli scribi non sono riusciti a far cadere Gesù nella trappola delle loro domande insidiose e viscide. Non avendo potuto vincerlo, a parer loro, “lealmente”, tirandolo nell’agguato con qualche risposta compromettente, abbandonano del tutto la parvenza della lealtà nella lotta contro di lui, e scelgono la via dell’inganno.
La loro coscienza non ha più ritegno. Se prima si usava la parvenza e l’ipocrisia, ora queste non sono ritenute più idonee per la realizzazione del loro scopo. Non resta che l’inganno vero e proprio. A tutti i costi bisogna uccidere quest’uomo. Ma ancora mancano due giorni prima che il tempo sia compiuto. In questi due giorni possono solo architettare le misure appropriate, ma in questi due giorni Gesù andrà ancora per la sua strada.
• Dicevano infatti: “Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta di popolo”.
C’è in questa affermazione la esplicita confessione che i loro piani non sono quelli di Dio. Loro sarebbero stati disposti anche ad ucciderlo immediatamente dopo le solennità pasquali, ormai imminenti. La loro intenzione ad ogni modo era quella di non ucciderlo durante la festa. Temevano un tumulto di popolo. Essi pensavano che la folla si sarebbe schierata dalla parte di Gesù contro di loro.
Tutto ciò sta a dimostrare solamente come la morte di Gesù non è il frutto delle combinazioni umane. Essa è sì il prezzo per il peccato dell’uomo, ma in ogni suo istante essa è governata dalla sapienza del Signore, che ha disposto ogni cosa perché la morte di Gesù fosse il sigillo della Nuova Alleanza, di quel Testamento di amore che egli stava per consumare e stabilire con il genere umano.
L’uomo non ha potere nel determinare l’ora di Dio. Non appartiene a lui questa scienza, né facoltà. Egli può semplicemente vivere la sua malizia. Di questa solamente egli è responsabile dinnanzi alla storia, il resto non gli appartiene, perché non gli è stato concesso dall’Alto.
• Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso.
L’evento che Marco si accinge a riportare è strettamente storico e ha un significato di profezia. Anzi è una profezia sui fatti imminenti; questo evento li anticipa e li compie, donando quella perfezione che sarebbe mancata loro il giorno del loro avvenimento reale. Ecco perché egli ritiene doveroso riportare il luogo e la persona presso cui si trova il Signore. In Betania, nella casa di Simone il lebbroso. Di quest’uomo sappiamo in verità poco. Dagli altri vangeli appuriamo che Gesù da quest’uomo era stato invitato.
• Mentre era a tavola, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di profumo di nardo, di gran valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo.
Quanto fa la donna è semplicemente l’inaudito dell’inaudibile. Essa fa un gesto non usuale. Marco non dice il motivo che ha spinto la donna ad un tale comportamento. Sappiamo però che l’unguento era di gran valore e che la donna glielo versò sul capo, dopo aver rotto il vaso di alabastro.
Questo lo scarno racconto dell’Evangelista. Possiamo aggiungere in commento che ci sono gesti che nascono dal più profondo della coscienza, dove neanche la coscienza più riesce a comprenderli e a motivarli, a dare loro una ragione sufficiente, che possa giustificarli nel loro svolgersi storico. Ma soprattutto dobbiamo evidenziare che quando c’è il forte amore che spinge all’azione, allora lì le regole sociali, le costumanze, gli usi, le abitudini e le tradizioni non reggono più. C’è una forza che spinge e questa forza diviene irresistibile, perché è la forza dell’amore, fuori della portata di ogni razionalità, di ogni argomentazione umana, fuori anche di quel timore degli uomini che spesso spinge a rinchiudere l’amore nel profondo del cuore e lì lasciarlo morire asfittico, incompleto, non realizzato.
Questa donna è spinta dall’amore puro, santo, immacolato, verso qualcuno che aveva bisogno di questo gesto, per sentire in qualche modo la forza che il suo amore per gli altri era riuscito a innescare nei cuori, sì da farli palpitare di un amore nuovo, impensabile fino allora, ma che avrebbe potuto cambiare le sorti dell’uomo e della storia. L’amore di Cristo riversato in un cuore, accolto da un cuore, è veramente capace di dare agli eventi un nuovo corso, il corso dell’amore che non conosce l’ostacolo umano. Era questa la forza dell’amore di Gesù che operava nei santi. Loro sì che hanno percepito cosa significa amare con l’amore di Cristo dentro di noi.
• Ci furono alcuni, fra di loro, che si indignarono: “Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!”.
Ma chi non è infuocato dall’amore del Signore, all’amore non pensa. Pensa solo all’utilità immediata. Ma c’è un dono d’amore che deve andare oltre l’utilità, oltre i bisogni degli altri, oltre la stessa necessità della vita quotidiana. C’è una amore da dimostrare e bisogna dimostrarlo con tutta la forza e le nostre possibilità. Questo perché l’altro deve continuare a vivere, a sperare, a compiere la missione che il Signore gli ha affidato. L’amore che si offre ha bisogno dell’amore che si dona, affinché il suo amore sia veramente perfetto.
Purtroppo c’è negli uomini quella mentalità opportunistica, che vede tutto dal lato della immediata necessità di un qualcosa che potrebbe servire, ma non è detto che debba necessariamente servire, perché si potrebbe risolvere in mille altri modi. Questa donna ci insegna in questa circostanza che quando bisogna compiere dei gesti d’amore bisogna fare solo questo e dimenticare il mondo e le necessità degli altri, dimenticare tutto e tutti e concentrarsi secondo ogni possibilità e con tutte le proprie sostanze verso il compimento nel modo più alto e più eccelso possibile di questo gesto d’amore.
L’amore, quello vero, non conosce legge. Né la legge dei poveri e né la legge delle convenienze umane. La legge dell’amore è l’amore. Ma l’amore per essere legge a se stesso deve essere puro, santo, immacolato, deve cercare solo il bene supremo della persona amata. Nessun secondo fine deve infiltrarsi in esso. Altrimenti non è più amore. E’ interesse, convenienza, ricerca di se stesso.
• Ed erano infuriati contro di lei.
E’ descritta in questo versetto l’insensibilità dell’uomo a concepire l’amore, ma soprattutto a comprenderlo quando è posto in essere da un altro. Non solo non è compreso. Si vuole che non venga neanche posto in essere, non lo si vuole affatto e per questo ci si scaglia contro la persona che ha operato dal più profondo del suo cuore e della sua coscienza.
E’ tanta la stoltezza degli uomini, ma anche la loro incoscienza. Coloro che non solo non pongono gesti profondi di amore, non solo non li comprendono se li vedono realizzati nella storia, in più si scagliano perché vogliono che non vengano posti in ragione di altri interessi più immediati, costoro non posseggono il senso della vera umanità. Sono uomini non uomini nello spirito e nell’anima, sono uomini che non conoscono l’amore. Se non conoscono l’amore non possono avere interessi di amore. I loro interessi sono semplicemente vili, di comodo. Ed allora ci si serve degli altri, usandoli, a scopo della realizzazione di quanto il nostro cuore pensa e vuole, ma assai lontano dalla legge dell’amore.
• Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione verso di me.
Gesù dona al gesto della donna un significato, che la stessa donna non aveva previsto, non aveva neanche considerato. Ma sempre quando è l’amore a spingerci ad agire e ad operare ogni nostro gesto, al di là del nostro momentaneo intendimento, acquista un valore più grande, di profezia, che noi non conosciamo, ma che Cristo conosce e mette sovente in evidenza, non al nostro cuore, ma al cuore degli altri, di quanti assistono all’opera di amore che noi compiamo.
Prima di tutto Gesù conferma la bontà del gesto della donna. Quindi afferma che è possibile compiere di questi gesti di amore, e di compierli per se stessi, dimenticando gli altri, dimenticando tutti. Quanto la donna ha fatto è un’opera buona. Se è buona, la sua bontà è nell’atto stesso, indipendentemente dalla sua persona o dalle altre persone. Il bene è bene per se stesso. Il bene non è bene perché si rapporta ad altro, o ad altri, altrimenti saremmo sempre e comunque nell’impossibilità di farlo.
Per bene agire quindi è necessario che si valuti l’atto in se stesso e lo si compia secondo la regola che muove e determina ogni atto: buono in sé, nella retta intenzione, nella semplicità del suo svolgimento. Questo è sufficiente a fondare la bontà di un gesto. Il rapporto con le altre realtà non c’entra, non deve mai entrarci. Altrimenti diviene veramente impossibile operare un bene per se stesso ed in se stesso, poiché potrebbero esserci mille altre ragioni esterne all’atto che ne impedirebbero la sua esecuzione materiale, puntuale, storica.
• I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me.
Ma Gesù va oltre l’intenzione della donna stessa. Confonde prima di tutto i pensieri perversi di quei cuori, affermando una verità di ordine storico. I poveri sono sempre in mezzo a voi, potevate ricordarvi prima, potete ricordarvi dopo. Se volete fare loro del bene, avete una occasione perenne di poterlo loro fare.
Il bene agli altri è sempre possibile. Lo si deve fare comunque e sempre, tenendo però presente sempre la legge del bene, che vuole che ogni bene possa essere fatto sempre a chiunque, purché ci sia una motivazione giusta e santa, un cuore retto e puro ed uno svolgimento accorto, che libera la persona agente da un qualsiasi voluto fraintendimento e tutto si riversi sulla persona ricevente.
Ma Gesù dona anche a questo gesto un carattere di impellenza e di necessità. E’ l’urgenza che dona valore al gesto della donna, urgenza che i commensali non conoscono, ma che egli sa, perché la sua ora è infatti arrivata.
• Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura.
E’ la grande profezia di Gesù sull’ormai imminente sua morte e sepoltura. Questa donna ha fatto durante la mia vita quello che generalmente si fa dopo la morte di una persona. Parole di una verità storica assoluta. Sappiamo infatti dallo svolgimento dei fatti, che dopo la deposizione dalla croce, a motivo della Parasceve e della solennità della Vigilia, che impediva ogni lavoro servile, il corpo di Gesù non ricevette le unzioni di rito. Esso fu solamente avvolto in un lenzuolo e deposto nel sepolcro.
Troviamo nelle parole di Gesù un profondo significato al gesto della donna. La donna non lo immaginava neanche; in essa era solamente il grande amore ad agire. Gesù non solo la difende dai malignatori, dona al suo gesto il suo vero significato.
E’ obbligo di ognuno trovare il vero significato ad ogni gesto di amore che si riceve. Questo perché è giusto che l’amore brilli in tutto il suo splendore e la sua purezza dinnanzi agli uomini, perché non venga frainteso, non mescolato erroneamente e con malizia ad altri amori, non venga confuso o rinnegato in nome di altri amori. Gesù ha dato a tutti noi un altissimo esempio di come bisogna sempre rapportarci dinnanzi ad ogni semplice o grande gesto d’amore: dobbiamo trovare in esso il significato profetico, che lo libera dalla povertà e dalla miseria delle umane interpretazioni, da quella comprensione interessata e di peccato che sovente alberga nella mente degli uomini.
• In verità vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto ”.
Ma Gesù dona a questo gesto un valore di buona novella. Questo gesto diventa Vangelo per il mondo intero. Se Vangelo è anch’esso imitabile, ma imitabile non nel suo contenuto storico, perché è impossibile rifarlo, Gesù non sarà più con noi, ma dovrà essere rifatto nel suo intimo significato e nella sua profonda mozione del cuore e della coscienza. Nella storia dovrà sempre esserci qualcuno che amerà con il cuore di questa donna e sempre qualche altro che accoglierà come gesto profetico quanto viene a lui fatto. La storia dei santi è il frutto di questo amore offerto e ricevuto, santificato e compreso nella sua più vitale, intima natura, perché il mondo impari ad amare secondo verità, nella santità, con il cuore di Cristo e del suo Vangelo.
• Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti per consegnare loro Gesù.
Il racconto è assai scarno. Giuda Iscariota si presenta ai capi dei sacerdoti e vuole consegnare loro Gesù. Marco non entra nella dinamica del cuore che ha spinto Giuda a compiere un simile gesto. Egli registra la storia e si ferma qui. Non gli interessa perché l’ha fatto, gli interessa riportare semplicemente il fatto.
E’ importante questa visuale di Marco. Marco libera Giuda da una motivazione di interesse venale. Egli afferma invece un evento di carattere teologico. Come nella vita del Maestro uno dei dodici lo tradì, indipendentemente da un motivo storico preciso, così nella vita dei discepoli del Signore ci saranno coloro che tradiranno. E’ pertanto affermato un dato della storia. La storia è questa, i motivi sono da ricercare nel cuore e nel suo abisso infernale. A noi non interessa il motivo particolare, interessa ed è assai importante, il fatto in sé, che non è di Giuda soltanto, ma è della nostra storia.
Accanto ad ogni discepolo del Signore sorgerà sempre qualcuno che lo tradirà. Non cercate il motivo unico, non cercate neanche un motivo. Sappiate che l’evento si produrrà, i motivi sono sempre generati dal peccato che regna nel cuore. Ed i motivi sono infiniti, molteplici, numerosissimi lungo il corso della storia e degli eventi che si svolgeranno sotto i vostri occhi. Ciò che appartiene al cuore lo si lasci al cuore; ciò che appartiene alla storia lo assuma la storia. Non c’è vera, autentica storia sulla via di Cristo che non comporti un traditore ed un tradimento.
• Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli del denaro.
Il tradimento produce gioia. La gioia qui è motivata dal compimento delle loro aspirazioni. Essi non avevano altro intendimento che quello di uccidere il Signore. Non sapevano come fare, pur avendole studiate e pensate tutte. Ora si presenta una occasione inattesa, non pensata, neanche sperata. Vedono facilitato il loro agitarsi e per questo esultano.
Ma non lasciano senza ricompensa immediata colui che è stato il fautore di una così repentina gioia nel loro cuore. Promettono del denaro. E’ la cosa più meschina, più infamante che possa capitare ad un uomo: tradire e poi accettare il prezzo di una consegna. E’ questa la più grande bassezza nella quale può precipitare un cuore. Lo spirito dell’uomo raggiunge con il pagamento del suo tradimento la perdita di se stesso. Perde veramente il suo spirito chi si abbassa a tanto, a lasciarsi comprare dopo aver tradito.
I sommi sacerdoti e gli scribi manifestano fino in fondo la loro malizia ed astuzia. Offrendo del denaro a Giuda, pensano di liberarsi dalla loro cattiveria scaricando il loro peccato su Giuda e sulla sua avidità di denaro. Giuda, che è solamente stolto, si lascia irretire da questo loro peccato e da esso anche consumare. Ormai dinnanzi alla storia non sarà, né potrà essere qualcuno che avrà fatto qualcosa per ideale nobile, anche se sbagliato, ha agito solo per vile interesse, per sete di denaro, perché comprato dai sommi sacerdoti, finemente astuti, coscienti di aver rovinato Giuda dinnanzi alla storia e dinnanzi a Dio. Giuda è semplicemente un traditore per denaro. Il suo ideale sono i soldi, per i quali non esita a vendersi il suo Maestro, l’Amico, Colui che lo aveva chiamato a condividere la sua stessa vita ed il suo altissimo ministero di salvezza.
• Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il peccato è consumato nel cuore. Bisogna ora studiare il modo concreto come attuare il misfatto della consegna. Ma anche lui troverà il modo, solamente quando sarà venuta l’ora di Gesù. Dinnanzi al Signore i piani degli uomini sono semplicemente vani, la stoltezza e la cupidigia, l’interesse, la concupiscenza nulla possono contro la sapienza divina. Gesù dovrà morire come Agnello Pasquale e pertanto la sua ora non può essere anticipata. La sua morte è nell’ora e nel momento in cui si immolava l’Agnello per il sacrificio. Questa è la storia di Dio, non può essere, né mai potrà essere la storia degli uomini, anche se alla malizia e all’astuzia dei sommi sacerdoti e degli scribi viene ora ad aggiungersi la cupidigia e la sete di denaro di un amico e di un discepolo ed Apostolo di Gesù.
• Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero:
Il tempo ormai è compiuto, l’ora è giunta in cui si immolava la Pasqua, Gesù, vero Agnello della liberazione, può essere immolato. Gesù celebra la cena pasquale il primo giorno dell’immolazione dell’agnello, il secondo giorno invece celebra la propria immolazione.
• “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”.
I discepoli chiedono a Gesù dove intende mangiare la cena pasquale, perché essi devono accingersi a preparare quanto era necessario, quanto occorreva per la commemorazione della notte della liberazione.
• Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?
Gesù non svela il luogo, lo indica attraverso un segno, l’incontro di un uomo con una brocca d’acqua. Il motivo è assai semplice. Gesù non sarebbe dovuto essere catturato prima dell’istituzione dell’Eucaristia. E quindi evita accuratamente di indicare pubblicamente dinnanzi a tutti il luogo di quello che sarebbe stato il Cenacolo. Giuda avrebbe potuto condurre lì le guardie e i soldati e impedire così l’istituzione dell’Eucaristia. Ancora una volta è da evidenziare la somma saggezza di Gesù. Niente da lui viene omesso perché la Volontà del Padre suo possa compiersi in ogni singola parte ed in tutte le parti insieme. Dopo l’istituzione dell’Eucaristia egli può essere catturato e di fatti lo diviene, perché Giuda sapeva che Gesù era solito ritirarsi nell’orto degli ulivi.
• Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”.
I discepoli dovranno preparare là dove quell’uomo li condurrà. Dovranno fidarsi di quell’uomo.
• I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.
Le parole di Gesù ancora una volta si compiono con divina precisione. Come il Signore aveva loro detto, così avviene. I discepoli possono preparare la Pasqua. Gesù può mangiarla insieme a loro.
• Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici.
La cena è mangiata da Gesù assieme ai Dodici. Non si fa accenno ad altre persone. Né in Marco, né negli altri: Luca, Matteo e Giovanni. E’ il momento della più grande solitudine di Gesù con i suoi, ai quali in seguito affiderà tutta la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione, il suo sacrificio perché lo perpetuino per i secoli.
• Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: “In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”.
Ma Gesù tutto conosce. Sa che Giuda aveva già deciso di consegnare il proprio Maestro ai sommi sacerdoti e agli scribi. In questo momento così solenne egli lo svela apertamente. Uno di loro lo avrebbe tradito. La formula dello svelamento è solenne: “In verità vi dico”. E’ certezza assoluta. Sarò tradito e da uno di voi.
• Cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: “Sono forse io?”.
Lo sgomento e la tristezza è comprensibile. Tra loro e Gesù, anche se a volte era stato difficile comprenderlo nelle sue intenzioni e nella sua rivelazione o manifestazione della volontà del Padre suo circa la sua missione da compiersi tra le sofferenze, il rifiuto, l’atrocità e la morte, era nata l’amicizia e, quel che più conta, l’amore. Essi amavano sinceramente il loro Maestro. Sentire che proprio uno di loro lo avrebbe tradito, non fa in quest’ora che rattristare il loro cuore. Ognuno vuole essere certo, vuole sapere e lo chiede al Maestro. Ma Gesù non lo svela apertamente, anche se lo lascia intendere.
• Egli disse loro: “uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto.
Il traditore è uno dei Dodici, colui che intinge nello stesso piatto di Cristo. Questo sta a significare quella comunione perfetta di vita. Chi lo tradisce è uno che Gesù realmente considera amico e per questo gli conferisce l’onore di intingere nello stesso piatto.
• Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”.
E’ parola chiara quella di Gesù. Il tradimento perpetrato da Giuda è un atto di gravissima entità. E’ gravissimo sia perché colui che è tradito è Gesù, sia perché è proprio l’amico a consegnarlo, ma anche perché lo fa per una modica somma di denaro.
Giuda si vende l’amico, il vero amico, lo consegna alla morte, per un interesse assai vile. Potere del male e della concupiscenza quanto sei grande! Non conosci nessuno, neanche l’amico fidato, colui che ti ha reso partecipe della sua vita, ti ha introdotto nella sua comunione, ti ha manifestato il suo cuore. La condanna per un tale gesto è tanto grande che sarebbe preferibile per Giuda non essere mai nato. Parole che esprimono la severità di una condanna che sarebbe stata il giusto salario per il suo tradimento.
Come al solito Marco non si interessa più di quelli che escono dalla scena di Gesù. Per loro non c’è più spazio nel suo libro della vita. Quello che fanno, o faranno in seguito, ciò che avverrà o avviene di essi non è opportuno neanche menzionarlo. Finito l’incontro con il Maestro finisce anche la vita dell’altro. In Marco incontreremo Giuda solo nell’atto della consumazione del tradimento. Poi tutto finisce. Anche lui esce dal Vangelo e dal libro della vita.
• E,mentre mangiavano prese il pane e, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo:
Il gesto di Gesù è solenne. Prende il pane e lo benedice. Lo spezza, lo dona ai suoi discepoli. Fin qui potrebbe sembrare un gesto consueto. Ciò che avviene dopo è l’autentica novità che accompagnerà i discepoli nel loro lungo cammino della storia per la perpetuazione della missione di Gesù.
• “Prendete, questo è il mio corpo”.
Quel pane che Gesù benedice e spezza, non è più pane. Lo era prima della benedizione, prima di essere spezzato. Spezzato e benedetto, Gesù lo consegna ai Dodici come suo corpo e realmente lo è. Sarà per la forza che dona questo pane che il cammino della fede nei secoli sarà possibile.
• Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.
Anche con il calice Gesù compie lo stesso gesto. Lo prende, rende grazie, lo dona, tutti ne bevono.
• E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti.
E tuttavia quello che loro bevono non è più vino, è il sangue di Gesù, quel sangue con il quale si stipulava l’alleanza tra Dio ed il suo popolo. Quel sangue è versato per molti, per tutti. Ogni uomo potrà stipulare l’alleanza con Dio nel sangue sacrificale di Gesù. Per questo egli è venuto a versarlo dall’alto della croce, perché ogni uomo possa stringere un patto di amicizia, di comunione e di amore con il Padre suo che è nei cieli. L’alleanza è solo con il Padre Celeste. Gesù di questa alleanza è il sangue.
Il sangue è ciò che unisce Dio e il popolo. Ma il sangue è la vita. Dio in Cristo dona la sua vita, perché ormai una sola vita, quella di Dio, vi sia tra lui ed ogni uomo. Ma se in ogni uomo deve scorrere la vita di Dio, questa vita non può essere aspersa, deve essere bevuta. L’uomo beve la vita di Dio e diviene una sola vita in Dio, per mezzo del sangue del suo Figlio prediletto.
• In verità io vi dico che non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”.
Con queste parole, essendo quei giorni solenni e rituali, in cui il vino si beveva perché il rito della pasqua lo richiedeva, Gesù annunzia l’imminenza della sua morte. Non ci sarà più tempo per bere del frutto della vite qui con voi su questa terra. Quando lo berrò, esso sarà il nuovo vino nel regno del Padre mio. E’ indicata con questa parola la sua gloriosa risurrezione. Chi va incontro alla morte e realmente muore il vino non lo berrà più di certo. Gesù promette loro di non berlo più per il momento, ma di berlo nuovo nel regno del Padre suo. Egli muore, ma anche risorge. La morte non è la fine. E’ per Gesù solo l’inizio del suo mistero.
• Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Con il canto dell’inno terminava il rituale della cena pasquale. Gesù con i discepoli si reca verso il monte degli Ulivi. Era questo un luogo in cui Cristo Gesù era solito ritirarsi, rifugiarsi. Alquanto distante da Gerusalemme, permetteva di ritrovare quella quiete necessaria per l’incontro con il Padre suo.
• Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
Gesù ora parla chiaramente a tutti loro. Presto ci sarà qualcosa che li traumatizzerà, li sconcerterà, ed anche li scandalizzerà. Il motivo è assai semplice. Lui è il pastore, loro sono le sue pecorelle. Percuotendo il pastore, le pecore non possono non essere disperse. Ed i discepoli per un breve periodo di tempo sono dispersi, vivono senza il loro pastore, non sanno cosa fare, come operare, dove dirigersi, dove andare. E’ lo sbandamento.
• Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea”.
Ancora una volta Gesù annunzia loro che la morte non è la fine per lui. La morte è il passaggio obbligato per la sua risurrezione. I discepoli sono pertanto avvisati ed invitati a disporsi per questo grande evento. Essi dovranno recarsi in Galilea, perché lì li precederà il Maestro da risorto.
• Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no”.
Pietro non crede alla parola di Gesù; lui non è convinto. Gli altri potranno anche rimanere scandalizzati. Per lui questa parola non ha valore, di certo non si compirà. Lui è forte; resisterà anche allo scandalo di vedere il Maestro trattato come un brigante ed un malfattore. Per Lui Gesù resterà sempre il Maestro da seguire.
• Gesù gli disse: “In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”.
Gesù non solo convalida la parola precedentemente annunziata. Per Pietro aggiunge qualcosa in più. Da parte sua ci sarà anche il rinnegamento, non una, bensì tre volte. Il rinnegamento sarà così vicino nella notte, che il gallo non avrà avuto neanche il tempo di cantare tre volte. Dopo il secondo canto egli lo avrà già rinnegato tre volte, avrà detto per tre volte di non conoscerlo, di non sapere chi è Gesù di Nazaret. Questa la verità su Pietro.
• Ma egli, con grande insistenza, diceva: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”.
Ma Pietro ancora una volta non crede alla parola di Gesù. Egli è troppo sicuro di se stesso. Il Maestro non può avere la pretesa di sapere ciò che lui farà, perché lui, Pietro, di certo non rinnegherà il Maestro, dovesse questo atto di non rinnegamento costargli la stessa vita.
Quando non si crede alla parola di Gesù, altra via non c’è che quella della storia. Ma questa via è dolorosissima, perché è la via del compimento, anche nelle virgole, di quanto il Signore ha detto.
Pietro è sicuro di se stesso, non si conosce, non vuole conoscersi. Può conoscersi solo chi nell’umiltà accoglie la parola e nella preghiera invoca la forza da Dio per resistere nell’ora della prova. Per l’umile preghiera il Signore può anche evitarci di passare attraverso la via della storia. Ma è anche umiltà pregare e non essere sicuri di sé. Se questa umiltà non la si possiede, allora la dobbiamo imparare attraverso l’esperienza, ma questa via è di purificazione e di perenne ricordo. Pietro dopo questa esperienza vivrà perennemente nell’umiltà, saprà conoscersi, saprà anche conoscere gli altri, li aiuterà a conoscersi partendo dalla sua amara storia di aver rinnegato il Signore.
• Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
Ma anche gli altri mettevano in dubbio la parola di Gesù. Il loro è l’orgoglio tipico della carne. Ma la carne è sempre sicura di sè; è sicura perché superba. La superbia è propria della carne, mentre l’umiltà è propria dello spirito e di spirito nuovo i discepoli ancora ne hanno veramente poco.
• Giunsero a un podere chiamato Getsemani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”.
Gesù, cosciente di ciò che ormai è assai imminente, sa che la forza per compiere fino in fondo la volontà del Padre suo bisogna attingerla in Lui. Il Padre è all’origine sia della missione sia della forza attraverso la quale essa si può perfettamente svolgere ed adempiere tutta, interamente.
Come ogni giorno e ogni attimo bisogna attingere da Dio la luce che segna la strada del nostro cammino, così attimo per attimo urge attingere la forza per poter compiere ciò che si è veduto. La preghiera pertanto è l’unica via, quella vera, della conoscenza della missione e della forza per poterla portare a compimento. Chi non prega, non sa cosa vuole il Padre, non può compiere ciò che il Padre vuole, anche se lo sa. Egli è debole ed infermo.
• Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.
Vuole che i tre discepoli che sempre lo hanno accompagnato in altri momenti particolari anche questa volta siano vicino a lui. Essi domani dovranno testimoniare tutta intera la verità.
La prima verità è la reale, vera umanità con la quale Gesù si accinge a vivere i momenti dolorosi della sua passione. La paura e l’angoscia sono propri dell’umanità, di quella umanità che non è stata creata da Dio per la sofferenza, che invece è stata creata per l’abbondanza della vita.
La sofferenza non si addice alla natura umana. Essa la rifiuta perché non le appartiene. La paura e l’angoscia sono una chiusura dell’umanità in se stessa. Ecco perché bisogna pregare. Urge liberare la propria umanità dalla chiusura in se stessa, urge metterla nella piena disponibilità dell’obbedienza. Questa liberazione bisogna impetrarla da Dio. Con la preghiera al Padre, Gesù compie sulla sua umanità la prima vittoria. La libera dalla paura e dall’angoscia, la predispone all’obbedienza totale.
• Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”.
Gesù manifesta il suo stato di tristezza, che è propria della natura umana che sa che dovrà essere sottoposta al supplizio della sofferenza e della morte, ai suoi discepoli. Chiede loro un aiuto. Vuole che essi veglino con lui. Li vuole testimoni di questa sua prima vittoria. Anche essi domani e tutti gli altri che crederanno avranno dei momenti simile al suo. Dovranno apprendere dal Maestro come questi momenti possano essere vinti e qual è la via giusta, la più santa per ottenere una tale vittoria. Ecco perché loro dovranno essere svegli. Dovranno vederlo pregare, sudare, piangere nella preghiera, invocare il Padre con forti grida e lacrime, perché solo con la forza che discende dall’Eterno sarà possibile vincere, trionfare sulla debolezza, ridare alla propria umanità quella fortezza necessaria per vincere i timori e le paure della morte.
• Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.
Tutta l’umanità di Cristo viene posta dinnanzi al Padre, manifestata in tutta la sua grande umiltà. Gesù sa che non è il proprio della sua umanità poter vincere quell’ora e glielo confida al Padre. Se l’umanità vuole passare oltre, c’è in Gesù, ed in ogni uomo, quella particolare facoltà che si chiama volontà, la quale ha il potere di consegnare tutta intera la vita nella mani del Padre e Gesù con la sua volontà umana gliela consegna.
Nella mia umanità c’è e vige la legge della fragilità, della piccolezza, di quella pochezza di forza e di resistenza che mostra il suo niente dinnanzi a Te. Ma nella mia umanità c’è anche quella volontà che mi fa dire che la tua volontà si compia e per questo ti chiedo la forza. Rafforza Signore la mia umanità ed essa sarà disponibile a compiere in tutto il tuo volere. Si passi dunque per il tuo volere.
Con questa preghiera Gesù ha detto una volta per tutte all’uomo che è possibile rendere forte la nostra debole umanità. Questo avviene se con tutta umiltà, nell’abbandono fiducioso al Signore, ci prostriamo dinnanzi a lui, glielo manifestiamo, gli chiediamo ciò che ci manca. Tutto da Dio discende, tutto da Dio è dato, ma anche tutto a lui bisogna chiedere. Questa è la legge della vita. Gesù ce la insegna nel momento in cui deve prendere in mano tutta la forza che è nel cielo per andare da Vincitore incontro ai suoi nemici.
• Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”.
Ma Pietro lo abbiamo visto forte e sicuro di sé. La sua umanità non è debole. Egli ce la fa. E’ disposto anche a morire per il Signore. Ne è certo, quindi può anche non vegliare, può anche addormentarsi.
Gesù gli fa un dolce rimprovero. La tua forza è talmente forte che non sei riuscito neanche a vegliare un’ora sola. Il sonno già ti ha vinto. E’ questa, Simone, la tua forza. Fra poco lo sperimenterai.
• Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.
Gesù dice il motivo della necessità della preghiera. Anche se uno è forte nello spirito, nella volontà, nei desideri, se è animato da grande decisionalità, egli è anche impastato di carne e questa è debole. E’ proprio della carne la fragilità e la debolezza. Se non la si rafforza, lo spirito non avrà l’energia né la resistenza di trascinarla dietro di sé, ma sarà lui ad essere preda della carne, quindi pronto a cadere e a cadere subito.
• Si allontanò di nuovo, e pregò dicendo le stesse parole.
Gesù non desiste dalla preghiera. Più grande deve essere la resistenza dello spirito sulla carne, più grande dovrà essere l’elevazione della carne in fortezza, più lunga dovrà essere la nostra preghiera al Padre dei cieli. Gesù lo sa e continua a pregare.
• Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli.
Questa volta Gesù non dice niente ai suoi discepoli. Egli sa anche questo. Ci sono dei momenti nella vita di ogni uomo in cui si è soli con Dio. Anche questo bisogna sapere. Quindi bisogna farsi forza, coraggio e restare fermi, fissi ed ancorati nella preghiera. In questi momenti solo il Padre può aiutare, ma lui aiuta se glielo chiediamo con insistenza. E Gesù prega con grande intensità, con tutta l’intensità di cui il suo spirito è capace.
• Venne per la terza volta e disse loro: “Dormite pure e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.
Gesù ormai è forte. Fortificato e irrobustito dalla grazia che dal cielo è scesa sulla sua umanità, può ritornare dai discepoli con grande libertà. Loro ora possono anche dormire. La preghiera lo ha reso forte per essere consegnato in mano dei peccatori.
Ancora una volta viene evidenziata la padronanza di Gesù sul tempo. I suoi avversari possono venire a catturarlo dopo che lui è pronto, dopo che si è reso pronto per la grande ultima battaglia della vita contro la morte, dell’obbedienza contro la disobbedienza, della fede in Dio contro la religione dell’uomo.
• Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”.
Il tempo è compiuto. Ora può andare anche incontro alla morte e prima di tutto può andare incontro al suo traditore, a colui che lo avrebbe consegnato nelle mani dei suoi nemici.
Veramente Gesù nella passione è il Signore. Egli governa uomini ed eventi. Tutto è sottoposto alla volontà del Padre suo, perché tutto avvenga secondo quanto è scritto e non secondo quanto gli uomini vorrebbero.
• E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.
Ora è il tempo delle tenebre. Prima era il tempo della luce. Le tenebre ora possono su Gesù. E’ il loro momento e possono agire.
• Il traditore aveva dato loro un segno convenuto: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”.
Il segno di riconoscimento, per non sbagliare e catturare l’uomo giusto, è un bacio. Che in Giuda fino a questo momento non ci sia alcun pensiero di ripensamento o di pentimento lo attesta il fatto che raccomanda alla folla che è con lui di fare bene attenzione, perché lo catturino, ma anche perché non se lo lascino sfuggire. Dovranno condurlo sotto buona scorta. Il suo tradimento è senza ripensamenti. Voleva questo, vuole questo e per ciò opera, agisce, consiglia, dona segni per l’identificazione di Gesù.
• Appena giunto, gli si avvicinò e disse: “Rabbi” e lo baciò.
Dopo essersi avvicinato, lo saluta come era solito fare e lo bacia. Lo riconosce, salutando come il Maestro e lo consegna in mano ai suoi nemici. Marco non aggiunge altro. Sa che non c’è bisogno di altra parola di commento. Il gesto e la sua gravità parlano da soli.
• Quelli gli misero addosso le mani e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio.
Anche in questa occasione della spada e dell’orecchio mozzato, come cenno di reazione da parte di uno dei presenti, Marco non si interessa più di tanto. Egli ormai è tutto concentrato sul Maestro. E’ su di lui che bisogna rivolgere tutta l’attenzione.
Il motivo è assai semplice. C’è attorno a Marco una storia che si vive e bisogna viverla come quella del Maestro. Tutto ciò che è secondario deve cedere il posto a ciò che primario, essenziale. Sulla via del martirio occorre una visione perfetta del Maestro e niente deve turbare la vista di lui. Potrebbe essere compromessa la nostra perseveranza. La passione dei cristiani deve essere scritta sulla passione del Maestro e per questo egli offre loro le linee principali, quanto è necessario per compiere un lavoro perfetto di martirio.
• Allora Gesù disse loro: “Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!”.
Gesù non è un brigante. E’ questa la prima verità sulla sua persona ed egli la manifesta loro. Egli è il Maestro che stava sempre ad insegnare. Egli deve essere catturato come Maestro di Dio, non come brigante, Maestro di Dio che insegna nel tempio, non come brigante in luoghi oscuri, bui, tenebrosi.
Dopo queste parole sulla vera identità della sua persona, Egli si abbandona totalmente nelle mani del Padre ed è lui stesso ad invocare l’adempimento delle Scritture.
• Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.
Esse puntualmente si compiono. La fuga di quanti erano con lui è la prima verità annunziata dalla Scrittura. Gesù l’aveva ricordata nel Cenacolo. Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
• Lo seguiva un ragazzo, che aveva addosso soltanto di un lenzuolo, e lo afferarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
E’ un verso oscuro questo nel Vangelo di Marco. Alcuni pensano che sia la sua firma. Vogliono che sia lui quel giovinetto che fugge nudo, lasciando il lenzuolo nelle mani di coloro che avrebbero voluto catturarlo.
In Amos c’è un passo. Se si vuole far riferimento a lui, lì viene detto che in quel giorno il più valoroso ed il più coraggioso, il prode insomma, fuggirà nudo. Dinnanzi allo strapotere del nemico, non c’è prodezza che possa resistere, anzi non c’è per niente prodezza. C’è solamente colui che tutto abbandona pur di mettere in salvo la sua vita.
In verità è certo che Marco abbia vissuto in prima persona questo evento. E’ il solo che lo ricorda e che lo cita. Essendo poi un elemento secondario allo svolgimento dei fatti, dobbiamo classificarlo come elemento autobiografico. Solo così si spiega il suo posto nel Vangelo. Che poi si possa dare un significato profetico, in conformità alla parola di Amos, questo non è da escludere. Infatti il più coraggioso degli amici di Gesù fuggì via nudo in quella notte.
• Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi.
Viene costituito in fretta un consiglio. Bisogna ufficialmente giudicare quest’uomo e bisogna farlo presto, durante la notte, in modo che di buon mattino la sentenza possa essere confermata dal Governatore e così tutto si sarebbe svolto in poche ore, in fretta. D’altronde è la Pasqua ed il rito della sua celebrazione richiedeva che gli venisse donato tutto il tempo necessario. Non era possibile quindi occuparsi più di tanto in formalità per il caso Gesù. Una sentenza sbrigativa era la cosa che conveniva a tutti.
• Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.
Pietro però segue Gesù, di nascosto, lo segue fin dentro il cortile del sommo sacerdote. Anzi si confonde con i servi del sommo sacerdote e si scalda pure al fuoco assieme a loro.
• I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano.
Per mettere a morte qualcuno occorre una testimonianza, un’accusa. Contro Gesù non c’è nessuna accusa che regga. Ancora una volta appare chiaro che nella storia di Gesù c’è un disegno che deve compiersi. Gesù non è un brigante. Lo ha detto nell’orto alla folla. Non è un malfattore comune, uno che ha trasgredito la legge, che ha fatto in qualche cosa il male. Anche questo appare con chiarezza. Gesù può essere condannato a morte solo sulla base della verità, sulla base della confessione della sua identità. Altre ragioni non esistono, non si trovano, non possono essere trovate.
• Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi.
Nonostante si attesti il falso, non c’è concordanza. Senza concordanza non è possibile emettere la sentenza. La legge era chiara. Perché uno potesse essere condannato bisognava che almeno due testimonianze fossero concordi, dicessero cioè la stessa, identica cosa.
• Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo: “Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne costruirò un altro non fatto da mani d’uomo”.
Non c’è possibilità di accusa contro la trasgressione della legge. Si pensò di poterlo accusare sulla sacralità del luogo del tempio, considerato cosa santa, intoccabile, inviolabile. Ma neanche sulla sacralità dei luoghi e dei tempi si trovò qualcosa di plausibile.
• Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde.
Neanche su questo le testimonianze erano concordi. Gesù quindi non può essere condannato. Non esistono capi di accusa. Non è un malfattore, non è un trasgressore della legge, non è un violatore della sacralità tanto cara al popolo. E’ veramente incondannabile?
• Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”.
Il sommo sacerdote cerca una qualche reazione, una parola scomposta contro di lui e contro il sinedrio. Tanto era sufficiente per condannarlo a morte. La legge era chiara: Non insulterai il capo del tuo popolo.
• Ma egli taceva e non rispondeva nulla.
Ma neanche questa via fu percorribile. Gesù non solo non disse una qualche parola scortese. Neanche ha risposto. Gesù taceva solamente, semplicemente rimane in silenzio.
• Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”.
Ma il sommo sacerdote non si arrende. Lo interroga sulla sua identità. Gli chiede formalmente di manifestare chi realmente egli è, dicendolo lui stesso.
Le parole sono chiare, inconfondibili. Il sommo sacerdote chiede a Gesù la verità sulla sua persona, ponendo questa precisa domanda: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”.
Dinnanzi a questa richiesta ufficiale, pubblica, Gesù non può tacere, deve confessare e manifestare la sua vera identità
• Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”.
Non solo Gesù è ciò che il sommo sacerdote ha detto. Egli è il giudice dei vivi e dei morti, egli è di gloria e di natura divina, conformemente alla visione di Daniele. Tutto questo egli lo è per natura.
• Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”.
Questa verità dal sommo sacerdote è giudicata una bestemmia e per questa verità, solo per questa, da lui stesso pubblicamente confessata, viene condannato a morte. La sentenza tuttavia non la emette il sommo sacerdote. La chiede ai presenti.
• Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Tutti coloro che assistevano all’interrogatorio emettono su Gesù una sentenza di morte. Gesù per la verità professata è passibile di sentenza capitale. Deve morire.
L’unico motivo per emettere la sentenza di morte non sarebbe potuto essere che questo: l’affermazione pubblica, solenne, testimoniale, resa di fronte a colui che era la massima autorità della religione Ebraica. Dinnanzi a Colui che si pensava tenesse il posto di Dio sulla terra, Gesù afferma e dichiara solennemente di essere il Figlio di Dio. Questa è l’unica causa della sua condanna, davanti al sinedrio, per pubblico ripudio, ripudio autorevole, non per un fatto occasionale, privato. L’ufficialità della confessione coincide con l’ufficialità del rifiuto e del rigetto di Colui che essi attendevano da secoli come il loro Messia e Salvatore.
• Alcuni cominciarono a sputargli addosso, a bendargli il volto, a perquoterlo e a dirgli: “Fa il profeta!”.
Dopo la sentenza di morte, Gesù non ha più dignità. E’ considerato una cosa, un oggetto, da maltrattare, da vilipendere, da umiliare, da schiaffeggiare. Uno insomma cui non appartiene più la dignità umana. Quando la religione produce di tali mentalità, essa attesta la sua depravazione e la sua incapacità di offrire speranza e salvezza a qualcuno. Quando una religione toglie la speranza, questa religione non è più religione.
• E i servi lo schiaffeggiavano.
C’è un accanimento contro Gesù che deve far riflettere i cuori e pensare le menti. Questo accanimento non può essere il frutto di un comandamento di Dio. Esso nasce dal cuore crudele e malvagio generato in noi dal peccato. Sottoponendosi alla passione e a questa sofferenza grande, Gesù ha voluto sperimentare nella sua carne l’odio, la malvagità, la crudeltà, l’empietà, la mancanza di commiserazione e di aiuto che pur sono dovuti ad ogni essere umano.
Ma Gesù ci avverte che quanto è avvenuto su di lui, avviene ogni giorno su molti altri. La sua passione continua, perché continua la passione dell’uomo. Se l’uomo religioso ha pietà di Gesù e cerca in qualche modo di riparare al danno subito ingiustamente, sappia costui che la migliore riparazione è impedire che questo continui ad avvenire, ma è anche porre ogni attenzione perché, per quanto dipenda noi, mai priviamo qualcuno, né in parole, né in opere, di quella dignità che lui è dovuta per essere stato creato ad immagine del suo creatore.
All’uomo dall’uomo è dovuta solo pietà, misericordia, perdono, commiserazione. Questa è la vera religione che Cristo Gesù è venuto ad insegnarci passando lui per primo dalla perdita della dignità, dall’essere lui stesso rigettato e respinto in modo atroce e crudele.
• Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: “Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù”.
Mentre con tutti questi maltrattamenti si infieriva contro Gesù, Pietro continuava a scaldarsi al fuoco. Ma una serva del sommo sacerdote vide Pietro, lo fissò, lo riconobbe come uno della cerchia del Maestro. Glielo dice a lui personalmente. Gli altri neanche se ne accorgono. Lui e la serva da soli.
• Ma egli negò dicendo: “Non so e non capisco che cosa dici”.
Pietro non sa, non capisce neanche quello che la serva voglia dire. Lui, Gesù non sa neanche chi sia. Non solo non lo ha incontrato, non ne ha mai sentito parlare. Le parole della donna gli sembrano una cosa strana, inconcepibile, oggetto di non scienza e di non conoscenza, né prossima né remota. Lui e Cristo non si sono incontrati neanche nel pensiero, mai. Gesù è l’ignoto, il non conosciuto.
• Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò.
Pietro sente dopo questa prima sua affermazione il gallo cantare. Non vi pone attenzione. La sua mente e i suoi pensieri sono altrove. E’ ancora troppo sordo per collegare il canto del gallo al suo primo atto del rinnegamento. Ma Marco lo annota. Il gallo canta già la prima volta. La parola di Gesù sta per compiersi, si compirà di certo. Lo attesta la voce del gallo.
• E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: “Costui è uno di loro”.
Questa volta si esce dall’intimità, non sono più la serva e Pietro da soli a porsi la questione. La serva questa volta rende nota la cosa anche ai presenti, i quali devono ascoltare che in mezzo a loro c’è una persona, appunto Pietro, che appartiene alla cerchia di quelli che seguivano Gesù. Pietro è definito appartenere a Gesù. Costui è di quelli.
• Ma egli negò di nuovo.
Ma Pietro non si scompose più di tanto. Lo negò semplicemente. E per un po’ la cosa sembra abbia funzionato. La gente sembra dimenticarsi di lui. Non presta attenzione alla voce della donna più di tanto.
Ma la parola di Gesù era stata assai chiara. Il rinnegamento sarebbe stato ripetuto da Pietro per ben tre volte. Questa la parola del Maestro. Questa sarebbe dovuta essere la storia.
• Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: “E’ vero, tu certo sei uno di quelli, infatti sei Galileo”.
Infatti con infallibilità divina gli viene posta per la terza volta la domanda, anzi questa volta non è domanda, è affermazione con dimostrazione. Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo. La tua appartenenza ti tradisce. Non può negarlo.
Questa volta non è più la sola serva, o qualche altro che assiste all’atto del riconoscimento di Pietro come facente parte di quelli di Gesù. Tutti coloro che sono nel cortile pongono a Pietro la domanda. Il fatto ormai è reso pubblico. Quello di Pietro non può essere un rinnegamento privato, semplice, dinnanzi ad una serva del sommo sacerdote, il suo rinnegamento diviene un atto pubblico, formale, dinnanzi a tutti.
• Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quest’uomo di cui parlate”.
Non basta più la semplice affermazione di non conoscenza di Gesù. Questa volta il fatto è assai grave. Non è possibile uscirne con una semplice negazione. La negazione deve essere assai solenne. Pietro solennizza questo terzo rinnegamento imprecando e scongiurando. Egli vi mette tutto il cielo e tutta la terra e li chiama a testimoni della sua non conoscenza di Gesù. Anche quello di Pietro è un atto solenne, pubblico, irreversibile, dinnanzi alla storia che quegli uomini in qualche modo rappresentavano. Questa la gravità del gesto di Pietro.
• E subito, per la seconda volta, un gallo cantò.
Puntualmente il gallo canta. Deve ricordare questa volta a Pietro che la parola del Maestro si è infallibilmente compiuta, come infallibilmente si compirà ogni altra parola da lui detta e proferita.
• E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che due volte il gallo canti, mi rinnegherai ”.
Pietro ricorda, sentendo per la seconda volta la voce del gallo, quanto il Signore gli aveva detto nel cenacolo. Il suo cuore si prostra, si umilia, si abbassa, non è più gonfio e sicuro di sé, ha imparato finalmente a non confidare più in se stesso, perché la propria sicurezza conduce solo alla negazione di Gesù.
• E scoppiò in pianto.
Il pianto è il segno esterno delle lacrime interiori. Pietro è profondamente pentito del gesto compiuto. Sa la gravità di quanto ha fatto e si purifica con un pianto a dirotto.
Piange perché sa di aver lasciato solo Gesù nella confessione della sua identità. Piange perché sa che ha fatto male ad un amico, al suo amico. Piange perché ora sa di che cosa è capace la sua umanità.
Della nostra umanità non possiamo fidarci. Nel momento in cui pensiamo di possederla, in quel preciso istante ci sfugge di mano e ci tradisce. Pietro piange perché è stato tradito dal suo cuore. Egli pensava di tenerlo in pugno, ora sa che il proprio cuore non è in suo possesso. Altre vie ed altre forme, che quelle della propria sicurezza, gli sono necessarie per governare e dominare il proprio cuore.
Gesù glielo aveva detto nell’orto degli ulivi, ma lui era troppo stanco per vegliare ed ascoltare il Maestro che gli insegnava come è possibile vincere la tentazione. Ma lui era troppo sicuro di sé, ancora non aveva bisogno di alcun insegnamento. La sicurezza è generata in noi dalla superbia ed essa conduce certamente alla caduta, ad una grande caduta, caduta che deve ricondurci al centro della nostra povera, misera, incapace umanità. Ora è possibile per Pietro iniziare ad ascoltare gli insegnamenti del Maestro.
• E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato.
Il giudizio del Sinedrio era solo morale, non legale. La legalità la si riceveva dal Governatore, il quale poteva o meno ratificare la sentenza già pronunziata. Gesù viene da loro consegnato a Pilato perché applichi la sentenza di morte e la renda esecutiva.
• Pilato gli domandò: “Tu sei il re dei Giudei?”.
Come si può constatare dalle parole di Pilato, il consiglio della mattina, aveva trasformato il capo di accusa: da religioso in civile. Gesù non è più processato da Pilato perché Figlio di Dio, ma in quanto autoproclamatosi re dei Giudei. Gesù viene accusato di cospirazione e di insurrezione politica, alla stregua di Barabba.
• Ed egli rispose: “Tu lo dici”.
Gesù non risponde per nulla a Pilato. Tuttavia non nega il suo essere vero re dei Giudei, ma non alla maniera in cui lo intendeva Pilato, ma secondo le modalità in cui lo avevano manifestato le Scritture. Non solo dei Giudei, ma del mondo intero. Ma questo dal testo di Marco non appare.
• I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose.
I sommi sacerdoti, per paura che svanisse l’accusa politica, ne aggiungono molte altre. La loro natura non è specificata.
• Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!”.
Pilato vuole che Gesù si difenda in qualche modo, che risponda alle provocazioni dei sommi sacerdoti.
• Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
Gesù invece resta nel suo divino silenzio. Pilato non ha potere contro i sommi sacerdoti, astuti, scaltri, furbi, malvagi più di lui, accorti e fini conoscitori dell’arte della menzogna e del male. Sa che la sua sorte ormai è decisa. Questo è il motivo del suo silenzio.
• A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà un carcerato, a loro richiesta.
Pilato pensa di eludere per un poco l’attenzione degli accusatori, facendo ricorso alla folla presente, perché lo liberasse da una simile responsabilità. Pensava che la folla sicuramente avrebbe scelto per Cristo, era per loro uno che aveva fatto del bene.
• Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio.
Gesù è qui esplicitamente messo a confronto con Barabba. Ma tra Gesù e Barabba non c’è accostamento. Non si può decidere la sorte di un uomo accostandolo ad un altro, lasciando che la folla decida per lui.
C’è anche un’altra stoltezza nella decisione di Pilato. Se occorre fare la scelta, è giusto anche che vi si