IV DOMENICA DI PASQUA (B)

IV DOMENICA DI PASQUA (B)
At 4,8 – 12 ; Dal Salmo 117 (118); 1 Gv 3,1 – 2 ;
GV 10, 11 – 18;

TEMA: Appartenenza – Riconoscimento – Ascolto

• In quel tempo, Gesù disse: "lo sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Ora il concetto viene affermato con chiarezza. Gesù è il buon pastore. Egli nutre e difende le sue pecore offrendo loro la sua vita. Questo è l’amore di Gesù, in questo amore ogni altro deve inserirsi se vuole essere anche lui un buon pastore. Senza l’offerta della propria vita, le pecore non si nutrono, e se non si nutrono, muoiono di fame, deperiscono spiritualmente, periscono. Se non si nutrono con la propria vita, ci si nutre della loro. Non c’è via d’uscita; o si dona loro la vita ed esse vivono; e la si toglie loro, ed esse muoiono. A questa scelta nessuno può sfuggire. O si dona loro la vita, o la si prende, la si toglie; o si vivificano le pecore con la vita del pastore, o si uccidono e ci si nutre della loro vita.

• Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Non solo c’è il ladro e il brigante che si introduce nell’ovile per fare strage delle pecore. C’è anche colui che pasce le pecore nel nome e con l’autorità del Padrone, ma le pasce per un vile guadagno. Costui è un mercenario e lavora per la sua vita. A lui niente importa delle pecore; lui non è lì per le pecore, lui è per se stesso: Se è per se stesso, a se stesso penserà sempre, penserà alla sua salvezza e quando vede il pericolo abbandona le pecore, fugge. Il lupo che è venuto per sbranare, vedendo le pecore non protette né difese dal mercenario, che è fuggito, che ha avuto paura di esporre la sua vita in difesa delle pecore, le rapisce e le disperde. Questo egli lo fa perché è un mercenario e gli interessa solo la sua vita e il suo salario, le pecore non trovano posto nel suo cuore. Anche questa è una immagine del cattivo pastore. È un immagine che il Vangelo intende condannare con vigore, con risolutezza; nel gregge di Gesù potrebbero sempre introdursi di questi uomini che ogni cosa fanno per interesse terreno. Lo ricordava anche Pietro alle comunità della Chiesa nascente. Nessuno deve pascere il gregge di Gesù per vile interesse, per soldi, per un guadagno terreno. Il gregge di Gesù si pasce con il dono della propria vita. Questa la regola delle regole. Per pascere il gregge con il dono della propria vita, bisogna che nel cuore ci sia un solo desiderio: offrire la vita per le pecore; quando si offre la vita, essa la si consuma tutta e la si spende per esse.

• Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e do la vita per le pecore.
Ancora una volta afferma di se stesso che Lui è il buon pastore. Il motivo di questo suo essere buon pastore, oltre che nella rivelazione della sua essenza: Egli è Dio. “Io sono” è il buon pastore perché tra lui e le pecore regna una perfetta conoscenza. Questa conoscenza è la stessa che regna tra lui e il Padre. Come il Padre conosce Gesù e Gesù conosce il Padre, così vi è la stessa conoscenza tra Gesù e le sue pecore; lui conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui. C’è da precisare che la conoscenza nel vangelo è amore perfettissimo. Tra Gesù e il Padre c’è un amore che è dono totale di vita. Il Padre ha donato la vita al Figlio generando, il Figlio ridona la vita al Padre nella più pura e più perfetta delle consegne nell’obbedienza piena e totale alla sua volontà. Gesù conosce le sue pecore perché dona loro la sua vita, questo è il suo amore per loro; le pecore conoscono Gesù, perché lo amano al punto da dargli la loro vita, di consegnarla interamente per essere suoi testimoni, attestatori della sua gloria e della sua signoria.

• E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Il gregge di Gesù è assai piccolo; molte altre sue pecore sono fuori, ancora non gli appartengono. Anche queste deve egli cercare e condurre nell’ovile. Anche queste devono ascoltare la sua voce, divenendo così un solo ovile e un solo pastore. Nasce in questo desiderio la missione di Gesù nel suo popolo, ma anche nasce la missione della Chiesa per il mondo intero. Circa la missione bisogna che venga precisata una cosa assai particolare: la missione non è per condurre ogni uomo nell’ovile del Signore, questo è impossibile; la missione è per condurre le pecore del Signore nell’ovile di Gesù. Ma noi non sappiamo chi è pecora del Signore, chi è sua pecora e chi non lo è; per questo dobbiamo predicare il Vangelo ad ogni creatura; sarà poi la pecora che ascolterà la voce del vero pastore e che lo seguirà per entrare nel suo ovile. Da parte della Chiesa bisogna che il vangelo venga annunziato a tutto il mondo. Da parte della Chiesa bisogna che nel suo cuore regni questa santa convinzione e questo retto agire: a nessuno può essere imposto di essere pecora di Gesù. È invece la pecora che deve riconoscere la voce del Signore che risuona nel pastore e seguirlo. In questa libertà è la missione della Chiesa, ma anche in questo obbligo grave. L’obbligo è per la Chiesa, la libertà è per le pecore. L’obbligo è lo stesso che fu di Gesù durante la sua vita terrena; per adempierlo la Chiesa deve essere disposta ad offrire la sua vita; ogni suo membro dovrebbe essere pronto a consegnarsi alla morte per la vita delle pecore di Gesù, pecore che egli governa in suo nome e con la sua autorità, se si tratta di un pastore ordinato, cioè di un sacerdote o di un vescovo.

• Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Viene qui introdotta un’altra tematica che si aggiunge, ampliandole, a quelle già annunziate. Gesù non solo dona la sua vita per le pecore; questa vita la dona e poi se la riprende di nuovo. C’è qui una chiara allusione alla sua passione, morte e risurrezione. Con la passione e morte egli offre la vita per le pecore, con la sua risurrezione gloriosa egli se la riprende di nuovo. L’amore del Padre è in questa duplice missione di Gesù: missione di dare la vita, ma anche missione di riprendersela di nuovo. Tutto è nella sua volontà: il dono e la ripresa del dono, l’offerta della vita e la sua risurrezione. E tuttavia per poter riprendere la vita, bisogna prima offrirla, ma in un modo doloroso, cruento. Anche questa è sua volontà. Gesù vuole passare attraverso la croce, come via per manifestare al mondo fino a che punto bisogna amare il Padre e le pecore. Si ama sino alla fine e la fine è la morte, ma anche la fine è lasciarsi togliere la vita per amore.

• Nessuno me la toglie, ma la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio ».
Viene nuovamente ribadita l’assoluta libertà di Gesù dinanzi al mistero della sua morte e della sua risurrezione. In tal senso la morte di Gesù non è il risultato di forze storiche, ma è il frutto della sua volontà; Egli ha un comando da compiere, questo comando viene dal Padre, l’ha ricevuto lui e lui si accinge a compierlo interamente, senza nulla aggiungere e nulla togliere a quella che è la volontà manifestata del Padre. Se la morte e la risurrezione di Gesù è fatto risalente solo alla sua volontà, in quanto liberamente si è disposto a compiere la volontà di colui che l’ha mandato, ne deriva per la pastorale un principio anch’esso assai rivoluzionario. Ogni volontà superiore deve essere fatta propria dall’inferiore, e per volontà superiore intendiamo la volontà di Dio primariamente e secondariamente ogni altra volontà che quella di Dio esprime, manifesta, interpreta, o semplicemente annunzia. La bellezza delle fede cristiana è in questa adozione di volontà. Nell’opera non esiste più la volontà di Dio, altrimenti sarebbe opera di costrizione, ma la volontà di Dio fatta nostra volontà, volontà della persona. È questa la più grande forma di amore e oltre questa forma non è possibile arrivare, perché forma più grande non esiste. Finché non siamo arrivati a questa adozione ci sarà sempre quella distanza infinita che separa noi da Dio; la sua opera non è la nostra opera, è la sua; la sua volontà non è la nostra, è la sua; l’uomo si pone dinanzi ad essa come ad un qualcosa che deve sì compiere, ma che non fa parte del suo essere, che è vista come qualcosa che non gli è poi connaturale. Mentre per Gesù tutto è connaturale, tutto è naturale, perché lui ha fatto della volontà di Dio la sua volontà e del comando del Padre suo la sua norma di vita, norma che è così naturale per lui, che è come se sgorgasse dalla sua natura e non dalla volontà del Padre.

Non gli importa delle pecore (M. Costantino di Bruno)
Dio è il Pastore di Israele fin da sempre. Con Mosè nasce la mediazione profetica e sacerdotale. Con Samuele nascerà la mediazione regale. Essendo sia la mediazione sacerdotale che regale per discendenza secondo la carne, queste due vie per il governo del popolo da vie di salvezza divennero vie di perdizione per tutto il popolo. Il Signore sempre è intervenuto per raddrizzarle, ma invano. Il suo dolore raggiunge il sommo della sofferenza nel profeta Ezechiele. Dio non solo decide di governare Lui il gregge. Promette ad esso un pastore che sarà nella persona del suo Messia.
Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.
A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. Non vi basta pascolare in buone pasture, volete calpestare con i piedi il resto della vostra pastura; non vi basta bere acqua chiara, volete intorbidire con i piedi quella che resta. Le mie pecore devono brucare ciò che i vostri piedi hanno calpestato e bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito. Perciò così dice il Signore Dio a loro riguardo: Ecco, io giudicherò fra pecora grassa e pecora magra. Poiché voi avete urtato con il fianco e con le spalle e cozzato con le corna contro le più deboli fino a cacciarle e disperderle, io salverò le mie pecore e non saranno più oggetto di preda: farò giustizia fra pecora e pecora. Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato. Stringerò con loro un'alleanza di pace e farò sparire dal paese le bestie nocive. Abiteranno tranquilli anche nel deserto e riposeranno nelle selve (Cfr. Ez 34,1-31).
Gesù annunzia e rivela se stesso come il vero pastore del Padre. Fa anche la differenza con il mercenario. Questi bada solo al suo profitto. Nulla gli interessa delle pecore. Dinanzi al lupo, tra la sua vita e quella delle pecore, sceglie di salvare se stesso e abbandona le pecore perché vengano sbranate. Gesù invece non solo difende le pecore, interponendosi tra esse e il lupo, ad esse e per esse dona anche la sua vita. Sappiamo come Gesù dona la vita: dalla croce per il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio. Nell'Eucaristia come pane di vita eterna perché anche le pecore vivano per Lui, come Lui vive per il Padre. Gesù si riprenderà la vita data sulla croce con la sua gloriosa risurrezione. Mentre la vita che dona nell'Eucaristia mai se la riprenderà. La sua vita sarà sempre data perché ogni discepolo faccia della sua vita un dono al Padre per la redenzione dei suoi fratelli. La salvezza è solo dalla vita donata.
Ogni pastore in Cristo e per Cristo, se vuole essere anche lui buon pastore, deve dare la vita per le pecore. Ma come si dona la vita per le pecore? Vivendo per compiere ogni Parola di Gesù, così come Gesù viveva per compiere ogni Parola del Padre.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci pastori fedeli a Cristo.

Spunti di riflessione:

- Puoi tu dire di aver conosciuto Gesù Cristo, di averlo incontrato?
- Chi appartiene a Cristo ascolta la sua Parola e si fa condurre da lui. Puoi tu dire di farti condurre da Cristo in ogni tua scelta personale? Oppure ti fai condurre da interessi di comodo, di opportunismo? Chi “veramente” guida la tua vita?
- Come si fa a distinguere la voce del Signore dalle altre?
- Sono capace di ascoltare la voce del buon Pastore?
- Gesù, Pastore buono, vive la follia dell’amore. Mi sento pensato, amato, salvato, chiamato? Oppure penso che sia una elite riservata?
- Mi sento al seguito di Gesù perché parte di una comunità pasquale in cammino?
- Riconosco in Gesù il modello secondo l’evangelista Giovanni, perché possa riconoscere e vivere l’amore di Dio in mezzo agli altri?
- Pensando alla mia famiglia o alla mia comunità, come la mantengo unita come unico gregge?
- Sono facile a dire “sono abbandonato dal Pastore”. Io, quando mi isolo dal gregge?