Scuola di Vita
IV DOMENICA DEL TEMPO DI QUARESIMA (C)
Gs 5, 9a. 10 – 12; Dal Salmo 33 (34) ; 2 Cor 5, 17 – 21
LC 15, 1 – 3.11 - 32
TEMA : Scelta – Amore
• In quel tempo si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo : « Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
La storia è assai semplice. I pubblicani e coloro che erano definiti peccatori avevano desiderio ed interesse di ascoltare Gesù, si avvicinavano a lui e si lasciavano da lui ammaestrare. Il loro cuore era retto, veramente avevano fame e sete di parola del Signore, veramente c’è nel loro animo un anelito di liberazione interiore e di salvezza. Il loro andare a Cristo Gesù era seriamente motivato da una scelta di cambiare vita e Gesù era l’unico dalla parola vera e santa sulla quale si poteva fondare la loro speranza di cambiamento e di novità.
I farisei e gli scribi non sopportavano questo comportamento di Gesù, questa sua vicinanza con un mondo da loro scomunicato e già mandato negli abissi infernali. E per questo lo accusano di connivenza con il mondo del peccato. Per loro la frequenza di tavola era anche comunione di vita. Per loro il santo a contatto con il peccatore diventava anche lui peccatore, minimamente essi riuscivano a pensare il contrario e cioè che il peccatore a contatto con la santità discesa dal cielo riusciva anche lui a santificarsi, come d’altronde avveniva spesso.
• Ed egli disse loro questa parabola : «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Il fatto in sé, quanto al suo inizio, è storia quotidiana. Tuttavia questa storia deve essere già analizzata fin dal suo cominciare, altrimenti poi potrebbe sfuggire qualche elemento essenziale per la comprensione finale del discorso che Gesù fa, partendo dal racconto. Prima di rivolgere l’attenzione al figlio che chiede la parte del patrimonio che gli spetta, dobbiamo puntare i nostri occhi sul Padre e sul suo comportamento di prima e di dopo. Il Padre ha due figli. I figli sono dell’unico Padre ed il suo amore si riversa in eguale misura su di loro. Primo fatto certo.
Secondo fatto anch’esso certo. Il Padre non compra l’amore del figlio, né lo trattiene nella sua casa. Il Padre si rapporta da vero padre, sa che la vita è del figlio, di questa vita lui è solo custode, quindi non può governarla a suo piacimento, può aiutarla finché il figlio vuole che sia aiutata, nel momento in cui il figlio decide di non voler più restare nella sua casa, il Padre non può che esaudire la sua richiesta. La volontà fa l’uomo ed un uomo privato della volontà non è più uomo; un uomo può cedere la volontà al Padre, ma può anche sottrargliela ed in questo caso il Padre non può fare più niente per il figlio. Infatti il Padre gli dona quanto gli spetta ed il figlio abbandona la casa paterna.
Ma non per questo il figlio non è più figlio ed il Padre non è più Padre. Il figlio resta tale per sempre, come tale resta anche il Padre per sempre. Con una differenza che il figlio può anche dimenticare la sua figliolanza, mentre il Padre non dimenticherà mai la sua paternità.
• Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
E così il figlio lascia la casa paterna, se ne va lontano dal Padre. Andare lontano ha un significato nella Sacra Scrittura, significa voler uscire da ogni influenza, da ogni ricordo, significa dimenticare la propria origine e la propria relazione, per vivere una vita posta interamente nelle proprie mani, senza alcun legame con il mondo di prima. L’uomo vuole essere totalmente se stesso, solo se stesso, senza legami, senza tradizioni, senza principi di ordine morale. Lui deve essere principio e fine di ogni cosa. Questa la lontananza biblica.
Quando l’uomo rompe i legami con il Padre, in pochi giorni sperpera tutte le sostanze ricevute in eredità in una vita senza regole morali. Lontano dal Padre c’è la perdita del senso morale o etico dell’uomo, l’uomo vive non più secondo la sua razionalità ed intelligenza, dalla quale scaturiscono le virtù della prudenza e della saggezza, vive assecondando la sua passionalità, la sua concupiscenza, la sua carne, il suo istinto ingovernabile.
• Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci.
Lontano dal padre non c’è abbondanza di beni, sciupati e sperperati quei pochi beni che l’uomo porta con sé subito dopo aver lasciato la casa paterna, viene a trovarsi nella bufera, attorno a sé non c’è altro che penuria, c’è carestia e la carestia pone l’uomo in uno stato di bisogno, di grande necessità. Da solo non può aiutarsi, anche se lo volesse, non potrebbe; deve chiedere aiuto agli altri, ma anche gli altri che vivono in questo paese lontano, altro non possono che aiutarlo spingendolo a fare i lavori più umili. Volendo esaminare quanto capita a quest’uomo dobbiamo senz’altro aggiungere che lui passa dalla pienezza di vita, all’impossibilità umana di poter vivere una vita veramente tale, cioè umana. Più lontano di così c’è solo il peccato contro lo Spirito Santo dal quale non è possibile alcun ritorno..
• Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gli dava nulla.
Ancora un’altra osservazione si impone: la sua dignità umana è ancora considerata più vile di quella di un porco, già animale immondo per se stesso, proprio perché per l’animale c’è possibilità di nutrirsi, di sfamarsi, per lui invece non c’è possibilità neanche di mangiare il loro cibo. Per lui non ci sono carrube, mentre per i porci sì. Questa è la condizione miserevole di quest’uomo sia da un punto di vista morale, sia da un punto di vista semplicemente umano. È considerato alla stregua della non esistenza, del non essere, in più con l’aggiunta di una situazione morale di disgusto, di pena, di avvilimento.
• Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
Ma questa storia di annichilimento della propria personalità ed anche della umanità gli serve per farsi un esame di coscienza, per pensare al bene lasciato, all’abbondanza che c’era nella casa di suo padre. La comparazione della somma bellezza e della infinita pochezza nella quale si trova suscita in lui un sentimento di desiderio di possedere quell’antica bellezza, fa nascere nel suo cuore un anelito verso di essa. Ancora lui non ha ritrovato il Padre, pensa però ai beni del Padre.
• Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati.
Questo desiderio ed anelito verso la bellezza e l’abbondanza lasciata diviene in lui momento di conversione, anche se incipiente, iniziale, ma pur tuttavia si tratta di conversione. Infatti c’è nel suo cuore il desiderio ed anche la deliberazione di rifare il cammino inverso, di ritornare presso il Padre. La sua coscienza ancora non è rientrata tutta nella legge dell’amore, la scoprirà in appresso, la scoprirà quando avverrà l’incontro con l’amore del Padre. Chi racconta la Parabola, non lo dimentichiamo, è Gesù, al quale non interessa ancora il perché ed il come il figlio abbia deciso di ritornare, a Gesù interessa che il figlio ritorni, perché non è sul figlio che è centrata la Parabola, la Parabola è sul Padre. È il Padre che ha due figli, non sono i due figli che hanno un Padre. Forse questo lo si ignora e lo si ignora perché noi partiamo sempre dal basso, dall’umano e tutto quanto giudichiamo dalla nostra mente immersa nelle cose di questo mondo, incapace di elevarsi fino a Dio, fino al trono della verità che governa il suo essere e che è purissimo amore di misericordia, di perdono, di compassione, di benevolenza.
• Si alzò e tornò da suo padre.
La decisione diviene realizzazione. Si pensa, ci si decide, si attualizza quanto deciso, ci si incammina verso il Padre.
• Quando era ancora lontano il padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Ma il Padre resta sempre Padre. Questo il grande insegnamento della Parabola; il Padre non perde la sua natura di amore, di benevolenza, di commiserazione, di perdono, di compassione, di sostegno, di affetto. Per il Padre il Figlio è sempre un figlio. Qui il Padre non è un uomo, ma è Dio stesso e Dio non finisce mai di amare l’uomo, anche se partito per il paese lontano, per il paese dell’autonomia e dell’emancipazione, egli non fa che attendere il suo ritorno, e lo attende per riabbracciarlo, per colmarlo di baci e di affetto paterno.
È in questa frase il cuore dell’insegnamento di Gesù; è in questo Padre che corre incontro, che non attende che arrivi, che attende il suo ritorno e non appena lo vede da lontano non sa più aspettare neanche i pochi attimi che ancora mancano, egli va, corre verso il figlio, quei pochi istanti che lo separano da lui gli sembrano troppi da dovere aspettare lì immobile. È in questa corsa verso il figlio la manifestazione di tutto l’amore di Dio verso colui che si accinge a ritornare verso la casa del Padre, ma di questo amore poco o niente abbiamo ancora compreso. Ma noi non siamo il Padre, noi siamo i figli e i figli con difficoltà riescono a comprendere l’amore del Padre.
• II figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te, non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.
Il figlio rimane ancora nel suo cuore come quando egli aveva deciso di ritornare presso il Padre. Non si ritiene degno di appartenergli, questa la realtà del suo cuore. E glielo confessa al Padre, assieme alla confessione del suo peccato. Egli ha peccato contro Dio e contro gli uomini, ha peccato contro il Padre perché se ne è andato dalla sua casa, perché ha pensato che lontano dal Padre la vita sarebbe stata migliore, ora sa quanto grande è stato il suo peccato, non sa invece quanto grande è il cuore del Padre. Lui misura ancora tutto a partire dal suo cuore, non sa misurare a partire dal cuore di Dio.
Solo Gesù ci può aiutare e di fatto ci aiuta a misurare tutto partendo dal cuore del Padre. Lui lo può, perché lui viene dal cuore del Padre e conosce la sua profondità, la sua altezza, la sua larghezza, conosce ogni angolo di quel cuore che ha tanto amato gli uomini da dare il suo figlio unigenito, facendolo vittima di espiazione per i loro peccati. Se non avessimo avuto la rivelazione di Gesù, se Gesù non ci avesse manifestato l’infinita estensione dell’amore del Padre suo, noi avremmo sempre continuato a vedere ogni cosa partendo dalla ristrettezza e dalla pochezza del nostro cuore.
• Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita era perduto ed è stato ritrovato.
Per il Padre il ritorno del figlio è come una risurrezione, un ritornare nuovamente in vita, un ritrovamento in seguito ad uno smarrimento. Ed in verità la dipartita del figlio è tutto questo: è morte, smarrimento, perdizione, fuga, rapimento. Ora che tutto questo è finito, ora che egli è tornato, è avvenuto il capovolgimento totale della situazione; si tratta ora di risurrezione, di ritorno in vita, di ritrovamento, di vicinanza, di presenza e per questo bisogna fare festa, ma prima di fare festa bisogna ridare al figlio l’antica dignità di figlio, bisogna rivestirlo e conferirgli la dignità di figlio, perché lui è il figlio che torna, che risuscita.
Questo particolare non bisogna dimenticarlo. Il figlio riceve la dignità di figlio ed il Padre lo fa capire a chiare note, con precisione. Non si tratta quindi di una accoglienza a metà, oppure si tratta di fare qualcosa di solamente e puramente esterna all’uomo. La gioia del Padre è perché il figlio è tornato e se è tornato il figlio, bisogna trattarlo da figlio, da non estraneo, tutto quanto viene fatto lo è perché il figlio è tornato ed ogni cosa è fatta al figlio e per questo ordina che gli venga riconferita la sua antica dignità, quella dignità che lui aveva lasciato, abbandonato, ma che non aveva perso, perché il Padre l’aveva conservata nel suo cuore. Questa la grandezza della rivelazione di questa parabola e sotto questo aspetto essa viene assai poco considerata, o se la si considera è solamente in modo marginale, esterno. Ancora una volta è il cuore del Padre che viene messo in evidenza e nel cuore il figlio non ha mai cessato di essere figlio e nel momento in cui ritorna non ritorna un garzone, ma un figlio. Egli non è un servo e questo i servi ed i garzoni devono saperlo.
• E cominciarono a far festa.
Il comando del Padre viene subito eseguito, realizzato; iniziano i festeggiamenti in onore del figlio.
• Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
Quanta differenza di cuore.... tra il cuore del Padre e il cuore del figlio maggiore... Il Padre attende con ansia, con trepidazione, il ritorno del figlio, lo aspetta e lo vede quando è ancora lontano e gli corre incontro... il figlio maggiore aveva completamente dimenticato di avere un fratello che aveva abbandonato la casa paterna, aveva abbandonato anche il suo amore di fratello... ma lui non se ne è accorto quando è partito e non se ne è accorto quando è tornato. Lui viveva come se il fratello non fosse mai esistito. Il suo cuore è vuoto di amore, lui non sa cosa vuol dire amare, ecco perché non si è accorto del ritorno del fratello.
• Il servo gli rispose: E’ tornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo.
Sono i servi ad informarlo dell’accaduto e come il Padre avesse deciso di fare una grande festa per lui. I servi dicono anche il motivo della decisione del Padre: suo figlio è tornato sano e salvo. Nonostante la triste esperienza, nonostante l’umiliazione di essere stato costretto per fame a pascolare i porci, nonostante non avesse potuto mangiare neanche le carrube che mangiavano i porci, egli è in buona salute. L’allontanamento dalla casa paterna non lo ha deturpato.
Questo sta a significare che anche nel male ci sono dei limiti, al di qua dei quali, l’uomo conserva sana e salva la sua umanità; ma ci sono dei limiti che oltrepassati si decade e ci si deturpa anche nella nostra umanità. L’esperienza negativa del figlio minore è stata deprimente ma non ancora devastante, non lo è stata perché ai primi sintomi di disagio ha deciso di ritornare nella casa del Padre, non si è ostinato nella sua decisione di starsene lontano. C’è un cuore in lui che ancora batte e pensa al bene. Quando l’uomo rimane in questa coscienza che avverte ancora il bene tutto può essere salvato per lui. Quando invece la sua coscienza è dura come pietra, per cui non avverte più gli stimoli della grazia, in quel preciso istante è la fine per un uomo. Sarà per lui difficile la conversione ed è difficile perché egli ha oltrepassato gli stessi limiti del male.
• Egli si indignò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a supplicarlo.
Il figlio maggiore, sentito che suo fratello era tornato sano e salvo e che era stata fatta una festa per lui, per questo suo ritrovamento, ha perso anche la sua calma abituale, il Vangelo dice che egli si arrabbiò, non ebbe più il controllo dei suoi nervi. Arrabbiarsi significa schierarsi in modo forte e deciso contro la decisione del Padre, si tratta quindi di una condanna esplicita ed in modo violento di ciò che il Padre ha fatto. A suo giudizio mai avrebbe dovuto fare una cosa di tal genere. La ragione di tale arrabbiamento è da trovare nel suo cuore che non muove più i sentimenti e quando i sentimenti sono mossi da un cuore vuoto di amore, allora neanche più il corpo si riesce a dominare, si è in balia dei propri istinti e qui c’è l’istinto della rabbia che prende il sopravvento.
Ma ancora una volta il cuore del Padre è più grande della rabbia del figlio maggiore. Il Vangelo dice che il Padre uscì a pregarlo. Non si tratta pertanto di manifestare i diritti del figlio minore, il quale essendo figlio, conservava sempre il diritto da parte del Padre di una accoglienza benigna e favorevole; nell’amore non ci sono diritti, come anche non possono esserci rifiuti. Il Padre prega il figlio ad entrare perché sa che non ha nessun diritto sul figlio per farlo entrare dentro, quindi non può comandargli di entrare, può solo pregarlo ad entrare e la preghiera è una domanda di amore. È l’amore del Padre che si china sul figlio maggiore, come si era chinato sul figlio minore, invitandolo ad accogliere il fratello ritrovato e a fare festa con lui, insieme, nella sua casa.
Sorprende sempre l’amore di Dio che sa che l’amore non può essere imposto ad alcuno; si può soltanto pregare, invitare ad amare ed il vangelo è il cuore del Padre attraverso il cuore del Figlio nello Spirito Santo, per la mediazione della Chiesa, che esce fuori, e va a pregare il figlio maggiore arrabbiato per l’amore manifestato al figlio minore, perché anche lui si decida ad amare.
• Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici.
Il cuore che è vuoto di amore, che non sa e non vuole amare, rende anche ciechi e non permette che si veda l’infinito amore con il quale il Padre lo ama. Neanche riesce a capire il gesto magnanimo del Padre uscito fuori per pregarlo, gesto che può compiere solo chi sa chinarsi dinanzi ad un uomo per invitarlo ad amare e sempre quando si vuole invitare qualcuno ad amare bisogna chinarsi dinanzi a lui. Nell’amore non ci sono comandi, non ci sono imposizioni, nell’amore c’è solo la preghiera, il chinarsi, il mostrare concretamente come si ama.
Il figlio maggiore non vede l’amore del Padre, amore che scorre nelle sue vene e che non lo fanno riposare, che lo pongono in uno stato di perenne attesa quando un figlio è lontano; vede solo il fatto materiale, vede un interesse non corrisposto immediatamente ad un servizio prestato. Io ti ho servito e tu non mi hai dato neanche un capretto per far festa con i miei amici.
Ma questa non è una relazione di amore, è una relazione da mercenari e quando non si ama, si è solo mercenari, anche nelle strutture del regno di Dio quando non si ama si è solo mercenari e si vive con Dio e con i fratelli una relazione di mercato, di guadagno, di profitto. Si pensa solo al quel capretto che ci è dovuto e che noi vogliamo consumare facendo festa con gli amici.
Altra contraddizione di un cuore vuoto. Ci si ricorda che si hanno degli amici, ma ci si dimentica che si ha un fratello. Si dimentica il fratello perché è da amare, ci si ricorda degli amici perché con loro si deve fare soltanto festa. La società di ogni tempo vive questa dimensione di dimenticanza dell’amore, ma di tanta ricerca di festeggiamenti. Si ha sempre tempo per festeggiare, ma si ha sempre poco tempo per amare.
• Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso.
Il cuore vuoto di amore diventa anche cattivo, oltre che facile preda della rabbia e dell’incomprensione. Diventa cattivo perché è lì pronto a rinfacciare il peccato commesso dal fratello. È cattivo perché rimprovera al Padre la sua misericordia ed il suo perdono. È cattivo perché serba rancore, odio, violenza. È cattivo perché in esso non c’è alcuno spazio per accogliere il fratello. È cattivo perché chiuso in se stesso e nel suo egoismo di morte. Quest’uomo non vede che se stesso e i suoi piccoli, meschini, interessi.
È cattivo il cuore di quest’uomo perché non riconosce la fratellanza, l’origine dal quale egli proviene e dal quale proviene anche il fratello. Il fratello è figlio del Padre, non è suo fratello. Come se lui stesso non fosse più figlio del Padre. È cattivo perché rinnegando la sua fratellanza, ha rinnegato anche la sua figliolanza. Questo figlio è veramente perduto per il Padre ed è morto, su di lui non può egli contare in nessun modo, non c’è spazio per il pentimento, né per la conversione. C’è spazio solo per la condanna del Padre e del figlio. In fondo è morto il fratello dal suo cuore, perché prima ancora era morto il Padre.
• Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Il Padre non ha altre ragioni da dare, non ha altre preghiere. La ragione del Padre è solo il suo amore di Padre e gliela ribadisce al figlio maggiore. C’è una sola ragione per amare ed è l’amore che abita nel cuore; quando l’amore non abita più nel cuore, non ci sono ragioni, perché l’amore non ha ragioni, l’unica ragione dell’amore è l’amore.
Ma il Padre rassicura il figlio maggiore ancora una volta adducendogli un’altra ragione di amore. Quando non si ama, allora c’è la divisione, c’è il merito ed il demerito, c’è il guadagno ed il profitto; quando si ama si esce da questa legge umana e si entra ancora una volta nella legge dell’amore e la legge dell’amore ancora una volta non ha legge se non quella della comunione. Quando si ama tutto diviene dell’altro, perché l’amore è il dono del proprio cuore all’altro e quando si dona il cuore con esso si dona tutto quanto si possiede.
Finché non si entra nella legge dell’amore, si resta sempre nella legge del profitto, del guadagno, del merito e del demerito. Non c’è spazio in questa legge né per la comunione, né per la solidarietà. Quando invece si vive la legge dell’amore, allora neanche c’è spazio per la solidarietà né per la comunione, perché si vive l’unica legge dell’essere una cosa sola, di avere un solo cuore ed una sola anima e poiché l’anima è una ed il cuore anche, tutto diviene dell’unico cuore e dell’unica anima. Questa la rivoluzione cristiana. Ma per fare un cuor solo ed un’anima sola occorre la grazia dello Spirito e la sua santità, che riversa nei nostri cuori il cuore di Gesù e ci fa essere con il suo cuore e con la sua anima, un cuor solo ed un’anima sola.
Ma bisognava far festa e rallegrarsi
Quando l'uomo si impadronisce di Dio, in suo nome commette i più atroci crimini, le più crudeli nefandezze, i più orrendi misfatti. Giunge a sacrificare una massa di innocenti per un pensiero stupido del cuore, giustificato però in nome del suo Dio. È questa la vera piaga della religione di ieri, di oggi, di sempre.
Oggi questo peccato si è rivestito di grande ostinazione, caparbietà, infinita stoltezza ed insipienza. Non è più Dio che in qualche modo viene imprigionato dal cuore e della mente. È la mente e il cuore che sono proclamati Dio. Dio oggi è il pensiero della creatura. Il suo desiderio. Le sue attese. La sua rabbia. Il suo odio. La sua invidia. La sua gelosia. La sua arretratezza culturale e sociale. I suoi usi senza verità e i suoi costumi senza alcuna libertà. Questo Dio è assai triste perché è sempre contro l'uomo.
Il Dio di Gesù Cristo, quello vero, quello che Lui ci ha rivelato, è il Dio che è sempre a favore dell'uomo. È il Dio che muore per la salvezza dell'uomo. È il Dio che non uccide l'uomo, dall'uomo si lascia uccidere per la sua redenzione eterna. È grande il mistero del vero Dio. La parabola del figliol prodigo ci rivela quanto differente è l'amore di Dio dal nostro. Il nostro amore si chiama odio, gelosia, invidia, stoltezza, insipienza, chiusura in noi stessi, incapacità di avvicinarci al cuore del Padre. Il nostro amore giunge a negare all'altro la nostra fratellanza. Non ci fa riconoscere l'altro come nostro vero fratello, da riscattare con il dono della nostra vita. Ogni religione che non vede nell'altro un fratello da redimere, riscattare, salvare, è falsa.
Quando un uomo si allontana da Dio, Dio non può essere più la vita dell’uomo. In questa triste storia di non vita rimane sempre aperta la porta della vita, quella del nostro Padre celeste. È sufficiente che l'uomo lo voglia, può sempre farvi ritorno. Sulla torre vi è sempre il Padre che sta in osservazione attenendo che il figlio riprenda la via e faccia ritorno a Lui. Cristo Gesù è venuto per annunziarci questo Vangelo, questa Lieta Notizia, questa vera speranza: le porte del cuore del Padre sono sempre aperte. Basta decidersi. Basta ritornare. Lui è già pronto a fare festa con noi, per noi. Chi si crede giusto di una falsa giustizia così non pensa. Non vuole che il Padre faccia festa. Chi è uscito dalla casa deve rimanere sempre fuori casa. Questi falsi giusti di immensa falsa giustizia non sanno che loro sono nella casa con il corpo, ma non con lo spirito. Non sono con lo spirito, perché loro non conoscono l'amore del Padre.
Anche il cristiano può correre questo rischio: dirsi di Cristo e non conoscere il cuore di Cristo. Proclamarsi del Padre e nulla sapere del suo immenso amore, che vuole che nessun suo figlio si perda, mai. Il Padre ama e vuole tutti i figli nella sua casa.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera religione
Spunti di riflessione :
- “Tutti i pubblicani e i peccatori” si avvicinano a Gesù per ascoltarlo (Lc 15, 1). Luca sembra dare importanza a questo atteggiamento di ascolto, riflessione, rientrare in se stessi, meditare e serbare la Parola nel proprio cuore.
Quale posto occupa l’ascolto contemplativo della Parola di Dio nella mia vita quotidiana?
- Nel “vitello grasso” ammazzato, possiamo riconoscere il Cristo, l’agnello di Dio che si offre come vittima di espiazione per riscattarci dal peccato. Partecipo al banchetto eucaristico con sentimenti di gratitudine per questo amore infinito di Dio che si dona a noi nel suo figlio diletto, crocifisso e risorto?
- Con chi dei due figli mi identifico: con il minore o con il maggiore? Perché?
- La nostra comunità rivela agli altri qualcosa di questo amore pieno di tenerezza di Dio Padre?
- Che spazio occupano il perdono di Dio e la riconciliazione nella mia vita? Alla base di ogni mio pensiero di autocritica
c’è la convinzione che Dio mi aspetta sempre?
- Sono disposto ad entrare nella strategia della misericordia?
- Nella parabola raccogliamo la storia di un padre pieno d'amore per i suoi due figli. Due gli atteggiamenti che riscontriamo, ma quale è il nostro? Anche noi viviamo una religiosità da schiavi cioè la religiosità della paura? O viviamo la religiosità del salariato, la religiosità dello scambio? Il vangelo parla anche di una religiosità filiale, in cui la volontà di Dio è compiuta per amore, per la gioia di piacere a Dio. Questa religiosità è libertà, perché affida a Dio la difesa e la salvezza della nostra vita.
Scopri nella parabola se anche tu sei figlio maggiore!