III DOMENICA DEL TEMPO DI QUARESIMA (A)
Es 17,3 – 7; Dal Salmo 94 (95) ; Rm 5,1 – 2.5 - 8
GV 4, 5 – 42
TEMA: Conoscere - Annunziare
• In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe.
La Samaria è la via più breve che dalla Giudea conduce alla Galilea. C’è però una difficoltà. La storica inimicizia tra Giudei e Samaritani qualche volta era causa di non ospitalità e di non accoglienza. Gesù passa per la Samaria e si ferma presso un pozzo. Con esattezza viene qui detto di chi era il pozzo e chi l’aveva scavato. È come si può notare è un pozzo storico, esso è di Giacobbe e poi di Giuseppe. Fa parte della storia religiosa di Israele, indica l’origine comune dei due popoli ed anche una certa rivendicazione a poter adorare il Dio dei Padri anche in territorio Samaritano e non soltanto in territorio Giudaico.
• Gesù dunque, affaticato per viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
Il viaggio era stato sicuramente ininterrotto e Gesù avverte la stanchezza; il suo corpo che è vera carne, vive i disagi della carne; soffre la sete, la fame, avverte la stanchezza, sente il calore del giorno e il freddo della notte. Il corpo di Gesù è un vero corpo umano; vive del corpo tutte le gioie, ma anche tutte le sofferenze.
Quando Gesù sedeva presso il pozzo era verso mezzogiorno. Era l’ora più calda, ma anche l’ora in cui generalmente il corpo viene sostentato con il nutrimento. Gesù di tutto questo sembra non preoccuparsi, il suo stile di vita mirava sempre all’essenziale, alla salvezza, il resto veniva da sé, per il resto non c’è bisogno che ci si preoccupi eccessivamente.
• Giunse una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere».
Gesù è l’uomo libero della libertà vera dei figli di Dio. Gesù è libero perché il suo cuore è puro, i suoi pensieri sono casti, la sua mente è sempre orientata al vero bene, la sua anima è tutta inabitata dalla grazia santificante, il suo cuore è sempre rivolto al Signore in un atteggiamento orante, di preghiera, di impetrazione a Dio di luce e di forza, di saggezza e di carità, per amare secondo il suo cuore, per amare solamente ciò che il Padre ama e solo quello.
Con semplicità, con purezza di intenzioni, con quella umiltà che lo caratterizza, con quella mitezza di cui è rivestita la sua carne, egli domanda da bere ad una donna di Samaria che è venuta per attingere acqua. Da notare che al pozzo non c’è nessun altro. Lui e la donna di Samaria.
• I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.
Non c’è nessun altro, perché i discepoli di Gesù erano andati in città a provvedersi di qualche buon cibo, al fine di poter continuare il viaggio, in verità assai lungo.
• Allora la donna samaritana gli dice: « Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? ». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
La donna non comprende la bontà di Gesù, la sua umiltà, la sua semplicità. Secondo lei, Lui non può chiedere da bere ad una donna samaritana. Lui è Giudeo e i Giudei non possono né devono osare tanto. C’è ostilità tra i due popoli e questa ostilità è da conservarsi anche tra i singoli membri del popolo.
Gli uomini sono creatori di muri e di barriere. Questa la potenza e la forza del peccato. A volte, anzi molto spesso, esso condiziona l’agire dell’uomo in modo ereditario, inconscio, senza ragione attuale che possa motivare in qualche modo un simile comportamento.
• Gesù le rispose: « Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva ».
Gesù non si sofferma sulla risposta della donna, non si lascia irretire da simili atteggiamenti che trovano la loro origine solo nel peccato del mondo. Dal profondo della sua libertà egli va oltre, e pone la donna dinanzi al suo essere e al dono che scaturisce dalla sua persona.
La donna ignora chi egli è; non sa chi è colui che le ha chiesto da bere. Ella parla per ignoranza, per confusione mentale, per affastellamento di idee e di persone; per lei una persona vale l’altra, un uomo vale l’altro; per lei non c’è l’uomo c’è la razza, il popolo; non c’è il presente, c’è la storia, il passato; non c’è il peccato personale, ci sono i retaggi del peccato che ancora oggi la condizionano pesantemente.
Questo fa sì che ella mai potrà conoscere la persona che le sta di fronte, né oggi, né mai. Ella ignora che una persona potrebbe essere un dono di Dio, uno che potrebbe offrirle una proposta inaudita. La donna, procedendo per coscienza non formata personalmente, per coscienza collettiva, per schiavitù, e non per libertà, non ha alcuna possibilità di inserirsi nella storia; ella vive nel presente, ma il suo presente è solo passato, è ciò che avvenne nella notte dei tempi. Questa la forza del male! Una volta commesso riesce a governare le menti per secoli e secoli, senza alcuna possibilità che venga operata nei cuori quella liberazione necessaria per vivere una esistenza degna dell’uomo, rivolta al bene degli uomini.
Se la donna fosse libera dalla sua storia, e lo potrebbe se non volesse rimanere schiava per sempre - in questo caso la responsabilità sarebbe solo sua - potrebbe arrivare a sapere chi è Colui che le sta parlando. Ma chi è Colui che le sta di fronte? È uno che ha il potere di dare dell’acqua viva, dell’acqua prodigiosa. Quella della donna è un’acqua di pozzo, quindi non zampillante, non sorgiva. La sua è acqua, ma non è acqua ottima. Colui che le sta di fronte potrebbe darle invece dell’acqua ottima. Questo scambio non può avvenire a causa della razza e dell’appartenenza. Tanto può la stoltezza dell’uomo, creata in lui dal peccato, ma anche dalla non volontà di liberarsi da ogni retaggio e da ogni condizionamento.
• Gli dice la donna: « Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame? ».
La donna veramente non conosce chi è colui che le sta parlando. Ella rimane alla terra e pensa e dice cose della terra. Anche se si parla e si rimane alla terra, il suo è un discorso chiuso, incapace di pensare qualcosa di diverso, se non quanto ella vede ed osserva.
La donna vede quell’uomo privo di ogni possibilità di poterle offrire qualcosa. Non può neanche attingere acqua dal pozzo, perché privo di mezzi, d’altronde neanche può calarsi lui nel pozzo, essendo profondo. Come fa allora a dire alcune cose, a promettere dell’acqua viva?
Quell’uomo non deve pretendere di essere più grande di Giacobbe che il pozzo aveva scavato e aveva dato da bere ai suoi figli e a tutto il loro bestiame. Chi pensi tu di essere, uomo che mi stai dinanzi? Le tue sono semplicemente parole, nulla di più. Non hai acqua, la chiedi a me; io non te ne do, tu mi prometti dell’acqua viva; non hai corda, non hai secchio, non sei più grande di Giacobbe. Dov’è la tua grandezza, su cosa fondi la tua parola?
Questa donna per certi versi è simile ad ogni uomo che si incontra con Gesù e non sa che Gesù è Colui che non è venuto per offrirci doni materiali, egli è venuto per darci il dono di Dio e il dono di Dio è se stesso e la vita eterna che lui è. Questo è il vero dono, è questa la vera sete che l’uomo ha. Egli ha sete di infinito, sete di divino, sete di cielo. Ma per colmare questa sete occorre veramente un’acqua viva, che non si attinge in nessun pozzo della terra. Gesù non ha bisogno pertanto né di pozzi, di né di corde e né di secchi e neanche di pale per scavare come Giacobbe. La sua acqua viene da un altro pozzo, un pozzo non umano e da questo pozzo solo lui la può attingere e solo lui la può dare. Ma questo ancora la donna non lo sa.
• Gesù le risponde: « Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna ».
Gesù parla alla donna con molta franchezza, ma il suo linguaggio rimane sempre altamente figurato, simbolico.
Chi beve dell’acqua che viene offerta dalla donna avrà di nuovo e sempre sete. L’acqua invece che lui dona, toglie la sete per sempre. Mai più la donna avrà sete, se berrà dell’acqua che Gesù gli offrirà.
Molto di più. Quell’acqua diventerà in chi l’ha bevuta sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. Non è un pozzo, ma una sorgente, un fiume di acqua colui che berrà l’acqua donata da Gesù. Non ha lui più sete, non sentirà più il bisogno di bere, ma disseterà il mondo a causa della freschezza e della potenza che scaturiscono dall’acqua donata da Gesù.
Letta nel significato spirituale, di grazia e di Spirito Santo, se colui che avrà bevuto l’acqua che sgorga dalla sua sorgente diventerà sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna, dobbiamo pensare quanto di più lui sia veramente una tale sorgente capace di dissetare il mondo intero. Veramente riesce a colmare la sete dell’uomo.
Se si pensa e se si riflette, tutto il male che si compie nel mondo nasce dalla sete di essere e di infinito che è scritta nel cuore dell’uomo, il quale è fatto ad immagine di Dio. Ogni l’uomo preferisce dissetarsi al pozzo dell’uomo, non alla sorgente divina della grazia e dello Spirito Santo. Se l’uomo riuscisse a capire questo, se si accostasse alla vera sorgente, se avesse la forza di abbandonare il pozzo terreno, non solo si calmerebbe la sete, si estinguerebbe, lui stesso diverrebbe fonte perché altri dissetandosi alla sua sorgente di grazia e di Spirito Santo, anch’essi vengano posti in condizione di estinguere tutta quella sete di male e di peccato che condiziona pesantemente la civiltà degli uomini.
L’uomo è come la donna al pozzo di Giacobbe. Non vede che la sua acqua, non considera che la sua sete di acqua terrena; per nulla vede l’altra acqua, neanche sospetta che quella per le cose di questo mondo è una sete sbagliata; essa esiste perché non si è stati capaci di colmare l’altra sete, non si è stati capaci di trovare la vera sorgente dalla quale scaturisce la vera acqua che toglie la vera sete, che ci fa divenire sorgenti che aiutano a togliere ogni sete in chi la sete subisce, o chi dalla sete è tormentato.
• « Signore, gli dice la donna, dammi di quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua ».
La donna, ancora pensando ad un’acqua per il corpo e all’utilità immediata di una tale acqua, è ormai disposta ad accettarla da Gesù. Anzi lei stessa gliela chiede, perché è sempre fastidioso venire ad attingere continuamente ad un pozzo. Con l’acqua di Gesù avrebbe risolto il problema una volta per tutte. Lei del significato profondo delle parole di Gesù neanche sospetta, neanche riesce a pensare o semplicemente ad immaginare che le parole di quest’uomo potrebbero avere un altro significato, spirituale, celeste, e non terreno.
• Le dice: « Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui ».
Gesù lascia il linguaggio simbolico, passa al linguaggio reale, per la donna molto più efficace di quello simbolico. Le dice di andare a chiamare suo marito e di ritornare nuovamente da lui.
A Gesù non interessa il marito della donna; Gesù sa chi è la donna e per questo la tocca nella sua storia. Quando non è possibile dialogare spiritualmente, direttamente delle cose del cielo, è giusto che si ritorni alle cose della terra, per poi risalire alle cose del cielo. Anche questo è metodo che Gesù usa sovente.
• Gli risponde la donna: « Non ho marito ».
La donna non ha marito. Gesù lo sapeva, per questo le aveva chiesto di chiamare suo marito.
• Le dice Gesù: « Hai detto bene "non ho marito", infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero ».
Ora che la donna ha detto una parte della verità, della sua verità, Gesù le dice il resto. È vero, ella non ha marito. Ne ha avuti cinque, e quello che è con lei attualmente non è suo marito. Anche questo Gesù sa. La donna ha detto il vero, ma anche Cristo le ha detto il vero, quel vero storico che ella non aveva voluto dire.
• Gli replica la donna: « Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare ».
La donna rimane sconvolta. Ha la certezza di trovarsi dinanzi ad un profeta. Ma subito cambia discorso, non vuole che si parli della sua storia. Per questo si avventura in un discorso tipicamente religioso, più consono alla struttura mentale di colui che le sta di fronte. Essendo un profeta, allora è giusto che si parli di Dio, di religione, di adorazione o di altro.
Se tu sei profeta, devi sapere che tra i nostri due popoli non c’è intesa. Noi diciamo, con i nostri padri, che bisogna adorare Dio sul monte di Samaria, voi invece dite che è a Gerusalemme in cui bisogna adorare Dio.
Non so se alla donna interessasse poi tanto il discorso dell’adorazione di Dio, ma è sempre preferibile abbandonare il terreno della vita personale. Gesù invece coglie ogni parola della donna per aprire e portare il discorso nel cielo, nella verità.
Questo è anche il metodo di Gesù. Non lascia cadere nessuna parola; ogni parola viene colta e da essa inizia un altro discorso, un discorso vero, autentico. La donna gliene offre l’occasione e per di più in un modo mirabile. Dopo aver detto chi è lui e che cosa potrebbe già offrire alla donna, ora le espone la via della vera adorazione di Dio.
• Gesù le dice: « Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre.
Con la venuta di Gesù, non ci sarà più un luogo particolare dove bisogna adorare il Padre. Questa è svolta e rivoluzione religiosa, l’unica che merita un tale nome: dal luogo si passa alla persona e la persona è Gesù. Gesù è il “luogo” dell’incontro con Dio, chi vorrà adorarlo dovrà farlo in lui, con lui e per lui.
Liberarsi dal luogo significa rendere tutti i luoghi uguali, renderli tutti idonei per il culto. Liberare il culto dal luogo, significa anche liberarlo dall’appartenenza al passato, ad un popolo; finisce la guerra delle appartenenze, delle tradizioni, dei metodi e delle forme che furono. Significa anche entrare in una via nuova, che dovrà essere sempre nuova. Se finisce il luogo materiale, si entra nella verità e nella spiritualità del culto.
Il culto diviene pertanto una relazione personalissima tra Dio e l’uomo; esso è lo stesso che prestò Gesù al Padre suo e Gesù gli prestò il culto dell’obbedienza. L’obbedienza è la nuova via del culto e della vera adorazione; essa sgorga dal cuore, che diviene il luogo della vera adorazione, perché esso è la sede dell’obbedienza e dell’ascolto della Parola di Dio.
• Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Tuttavia anche se è finito il tempo in cui bisogna adorare il Padre su questo monte o sull’altro, Gesù dice una verità storica che bisogna puntualizzare. I Samaritani non conoscono il vero Dio; loro adorano ciò che non conoscono; i Giudei invece adorano il Dio che conoscono; o meglio conoscono il vero Dio e lo adorano.
Ma c’è di più. Il vero Dio è quello che vive in Gerusalemme ed è da Gerusalemme, quindi dai Giudei che viene la salvezza. Questa verità è di ordine storico e nessuno può contraddirla o negarla, o fare finta come se essa non esistesse, non fosse la storia della vera adorazione di Dio Padre.
Riconoscere che la salvezza viene dai Giudei, significa anche riconoscere che l’origine di ogni vera adorazione del Padre è possibile perché c’è stata questa radice sulla quale ogni altra vera adorazione è stata innestata. È Gesù la salvezza e lui è un Giudeo, un figlio di Abramo, un discendente di Giacobbe, un Figlio del popolo dell’Alleanza. Questo nessuno lo può negare.
Gesù ci insegna che non si può rinnegare il passato, quanto di buono in esso è stato fatto; né si possono misconoscere le origini della vera adorazione di Dio e per questo bisogna sempre essere riconoscenti a coloro che hanno permesso che la salvezza giungesse fino a noi e pregare perché anch’essi possano accogliere come vera via di salvezza e di redenzione dei cuori.
In questo sovente si pecca. Non si è riconoscenti, non si sa vedere la realtà storica; non si vuole cogliere la radice sulla quale si è innestato il nostro lavoro e la verità che lo muove e lo conduce. Sapere che c’è una radice di verità, che c’è un principio sul quale noi siamo stati posti e dal quale abbiamo ricevuto l’energia della verità e della salvezza è rispetto del mistero di Dio e del Dio che opera nella storia degli uomini, perché la storia di ogni uomo sia condotta verso la verità e la salvezza.
• Ma viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano.
L’ora, o il momento è ormai venuto, è questo, è il momento della vita di Gesù, e in modo particolare della sua morte e della sua risurrezione gloriosa, del mistero pasquale del Signore. Da questo momento coloro che vogliono adorare il Padre, quindi i veri adoratori, devono adorarlo in spirito e verità.
Questa è anche la volontà del Padre, egli cerca tali adoratori. Cosa significa adorare il Padre in spirito e verità? La verità è la Parola della salvezza, quella che Gesù ci ha portato; la verità è Cristo, è il suo mistero, è anche l’inserimento nostro nel suo mistero, per divenirne parte. L’uomo entra nella verità e quindi tutto ciò che egli fa, diviene verità, quindi adorazione di Dio, se accoglie la parola nel suo cuore e la trasforma in sua vita, in sua volontà, in realizzazione nella storia personale.
La verità non può essere fatta nostra se non attraverso lo Spirito di Dio, che ci dona il convincimento del cuore e l’adesione alla verità, attraverso un atto di fede; poi, attraverso i sacramenti della grazia, ci costituisce parte della verità di Gesù, perché ci fa un solo corpo con lui, nel battesimo, e negli altri sacramenti ci dona l’abbondanza della grazia, perché ognuno, secondo il proprio stato, possa vivere in pienezza nella profondità di comprensione, che lo Spirito opera nei nostri cuori, la verità che Gesù ci ha comunicato attraverso la sua parola di vita eterna.
Ora comprendiamo perché il Padre cerca tali adoratori, perché è questa l’unica via possibile della vera adorazione. Nasce quindi un altro concetto di adorazione ed è assai semplice da formulare. Cristo è il vero adoratore del Padre, nello Spirito di verità, lui ha conosciuto Dio, la sua Parola, la sua Volontà e l’ha compiuta, nello Spirito, fino alla morte e alla morte di croce. Il cristiano può adorare il Padre solo nell’adorazione di Gesù e nella verità dello Spirito che abita in lui; per fare questo deve divenire una cosa sola con Gesù attraverso la piena configurazione a lui, quella perfettissima somiglianza nella vita e nella morte, che vuole che noi viviamo solo per lui e secondo l’esempio di adorazione che egli ci ha lasciato.
Ma adorare Dio in Spirito è verità, deve significare una cosa sola: possedere quella conoscenza perfetta di Dio (verità) che viene a noi dallo Spirito del Signore che dimora nella nostra anima. Perché lo Spirito possa dirci tutta la verità del Padre, perché possa manifestarci tutto il pensiero di Dio, il nostro cuore deve lasciarsi interamente possedere da Lui e questo avviene solo se si inizia un cammino di santificazione, che è libertà da ogni vizio e possesso delle sante virtù.
• Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità ».
Dio non può essere materializzato, né racchiuso in un luogo. Egli è spirito e lo spirito pervade l’universo, è tutto in ogni sua parte ed ogni parte lo contiene tutto. Questa l’essenza dello spirito. Se Dio è spirito egli non può essere materializzato, localizzato, rinchiuso in luoghi o templi, egli è oltre i luoghi, oltre i templi, oltre ogni realtà creata.
Per questo colui che vuole adorarlo, lo deve fare in spirito e verità. Lo deve fare sapendo che la verità è l’essere stesso di Dio e così lo spirito. Dio vuole essere adorato in conformità alla sua natura, che è tutta vera e spirituale, e come si adora il Padre se non facendo divenire la nostra natura tutta vera e spirituale, in tutto simile alla sua?
Quando questo sarà avvenuto, allora sorgerà dal nostro cuore la vera adorazione e Dio sarà glorificato per mezzo nostro. Ormai niente più ci separa da Lui, non c’è più il diaframma del peccato che pone ostacoli al vero amore e alla vera adorazione di Dio nostro Padre.
• Gli rispose la donna: « So che deve venire il Messia chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa »
Anche se la donna adora quel che non conosce, nelle sue conoscenze c’è un’attesa. Ella sa che deve venire un giorno il Messia. Sa anche che quando lui sarà venuto annunzierà ogni cosa che serva per la perfetta adorazione del Padre.
Avere di queste certezze rende l’anima piena di speranza; ora l’anima della donna è confusa, non sa, ignora, non conosce; la sua anima dubita e teme i Giudei, respinge ogni favore verso di loro. E tuttavia quest’anima attende il Messia e lo attende come il rivelatore della volontà di Dio, quella vera; lo attende come un Maestro, Colui che avrebbe insegnato ogni cosa, avrebbe indicato loro la via giusta e santa per essere graditi al Padre.
Questo sta a significare che nel cuore assieme ad una parte di non conoscenza, potrebbe essere anche una attesa vera, che la si vede e la si considera come possibile risolutrice di ogni problema legato alla conoscenza e alla verità. Da questa certezza che nel è cuore dell’uomo nasce sempre un’apertura verso il bene. Da questo spiraglio è possibile innestare, o farvi entrare la verità della salvezza; è questa metodologia da tenere sempre in considerazione e da porre in atto ogni qualvolta si presenta l’occasione dinanzi a nostri occhi.
In ogni cuore c’è sempre una scintilla di verità che potrebbe accendersi; pregare per individuarla, una volta individuata, alimentarla per farla divenire una grande fiamma è quanto ci insegna Gesù ed è quanto vuole che noi apprendiamo per la salvezza dei cuori.
• Le dice Gesù: « Sono io, che parlo con te ».
Il momento è solenne. Gesù rivela la sua vera identità ad una donna e per di più straniera. È l’unica volta nel Vangelo, prima del processo, che Gesù si dichiara il Messia di Dio. Le altre volte sono gli altri a proclamarlo o a confessarlo.
Il dialogo finisce, si interrompe, arrivano in quel momento i discepoli. Dall’acqua chiesta all’acqua promessa in dono, acqua viva che diviene sorgente che zampilla per la vita eterna, che diviene sorgente per chi la riceve, all’adorazione di Dio in spirito e verità, alla autoproclamazione di Messia. Non c’è più nulla da rivelare, niente più da aggiungere, il discorso finisce, si interrompe, tutto è perfettamente compiuto.
Anche questo metodo dobbiamo apprendere da Gesù. La sua parola è sempre pesata, ponderata, valutata. Mai una in più, mai una in meno. Solo quella che serve, quella che è giusto proferire in quel momento, solo per la manifestazione della verità. Poi è necessario che ritorni il silenzio sulla scena. È questa l’arte e la scienza di Gesù che ognuno dovrebbe fare sua, per essere incisivo tra i suoi fratelli, per non stancare, per non abbondare, per non dire ciò che l’altro non può capire, per non annoiare. La brevità, unita all’essenzialità, è lo stile di Gesù. Quanto basta in parole, in tempo, in dialogo, in conversazione, in sostare e rimanere, in partenza, in ritorno.
• In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che parlasse con una donna.
I discepoli ancora non sono maturi spiritualmente, non posseggono la libertà di Gesù e neanche comprendono a volte l’agire del loro Maestro. Si meravigliano che stesse a discorrere con una donna. Questa meraviglia nasce dal loro cuore non ancora all’unisono con i pensieri di Dio, non in sintonia con i desideri dello Spirito del Signore, assai lontano dalla ricerca di salvezza che muoveva ogni azione ed anche ogni pensiero di Gesù Signore. La meraviglia nasce da un cuore propenso a non leggere la storia secondo verità, o a leggerla secondo quei canoni di retaggi antichi che sovente turbano le relazioni tra gli uomini.
Gesù invece non ha di questi principi umani; egli è sempre sorretto dalla divina verità e da un desiderio di salvezza da comunicare ogni qualvolta c’è un’occasione favorevole. Possiamo affermare che egli mai si lascia sfuggire un’occasione di salvezza, mai. Dove il cuore è aperto, dove è possibile che si apra, sempre lui vi semina la parola della salvezza. Questo i discepoli ancora non lo sanno e per questo si meravigliano, come se Gesù non avesse nient’altro da fare, o come il parlare con una donna fosse solo una perdita di tempo.
• Nessuno tuttavia gli disse: « Che cosa cerchi? », o: « Di che cosa parli con lei? »
Tuttavia essi hanno rispetto per Gesù, non lo comprendono, ma lo lasciano libero, lo studiano, ma non lo condizionano. Si meravigliano, ma non chiedono il perché.
Avere fiducia dell’altro, anche quando non lo si comprende, è l’inizio di un cammino di grande saggezza. Non comprendo, mi meraviglio, ma non ostacolo, non mi intrometto, non chiedo ragioni, non domando perché.
• La donna intanto lasciò la sua anfora,andò in città e disse alla gente: « Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto ».
La donna va in città, si reca dalla sua gente. Non dice chi è Gesù, dice ciò che a lei è stato svelato, manifestato. La donna parla dalla propria esperienza, annunzia dal profondo della sua anima.
In ogni incontro di salvezza con Gesù, per via immediata o mediata, è dal nostro cuore che bisogna sempre partire; se non si parte dal proprio cuore, non si può rendere testimonianza, non si può annunziare e neanche parlare. Anche questo è principio di serio ed oculato apostolato. Parlare degli altri non serve, dire che un altro si è convertito non giova; non è questa la testimonianza che Gesù chiede ai suoi.
La testimonianza che Gesù ci chiede deve essere simile a quella fatta dalla donna: si parte dal proprio cuore e lo si rivela, o lo si manifesta ai fratelli; si prende avvio dalla trasformazione che è avvenuta in noi e da qui si inizia per parlare di Gesù. Del resto come posso io dire che Gesù cambia il cuore se il mio non è cambiato? Come posso dire che lui mi ha svelato il mio passato, se la sua parola non ha prodotto in me un serio cambiamento, una conversione?
• Che sia lui il Cristo? ».
La donna sa che Gesù è il Messia di Dio. Glielo aveva rivelato Gesù stesso. Lei non vuole dirlo ai suoi concittadini, alla sua gente, vuole che essi stessi lo scoprano e ne facciano l’esperienza.
Anche questo è metodo di annunzio. Portare l’altro a fare l’esperienza diretta con Gesù è certezza di salvezza. Ma come e quando è possibile fare esperienza diretta con Gesù, se Gesù ha lasciato questo mondo e vive in esso in modo invisibile, inudibile, non percepibile a livello fisico dall’uomo?
Come Gesù era la via che manifestava, rivelava il Padre e metteva in comunione con la sua verità e con il suo amore - chi vedeva lui, vedeva il Padre - così deve essere del cristiano; egli deve divenire il punto di incontro dell’anima con Gesù e questo può accadere solo se il cristiano diviene cristiforme, se si lascia assimilare totalmente da lui, sì da realizzare con Gesù una sola vita, una sola morte, una sola risurrezione. Una cosa deve essere certa: chi deve essere salvato si deve incontrare con Gesù, o per via immediata, o per via mediata; senza incontro non c’è adesione, non c’è redenzione, non c’è salvezza.
• Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
La donna è convincente. La gente la segue e si reca da Gesù. Anche questo deve essere metodo pastorale. Se colui che annunzia non si rende convincente in ordine alla persona verso la quale deve condurre, la scintilla della salvezza non scocca e se non scocca, non c’è salvezza.
Sovente si parla di Gesù ma non si convince, non si avvince l’anima. Questa rimane nella sua indifferenza, o apatia spirituale, o semplicemente nel suo sonno si morte. Quando non si convince, e non si avvince, il motivo è uno solo. Colui che annunzia non è stato ancora avvinto da Cristo, non si è lasciato trasformare da lui la vita e per questo motivo la relazione è solo concettuale, non vitale, è della mente, ma non è del cuore, né dell’anima. Quando il cuore e l’anima non sono nella testimonianza che si rende a Cristo, la mente rimane fredda ed anche quanti ascoltano rimangono freddi e la salvezza non si compie.
La salvezza che noi portiamo ai fratelli non è forse un parto, una generazione della salvezza operata in noi? Se in noi la salvezza non è stata operata, come facciamo noi a generarla, a partorirla, se essa mai è stata concepita nel nostro grembo?
• Intanto i discepoli lo pregavano: « Rabbì, mangia ».
I discepoli che nulla sanno di quanto è avvenuto, invitano Gesù a prendere cibo. C’è un mistero di cui essi sembrano essere all’oscuro. Anche questo succede. Spesso degli uomini vivono una intensa vita spirituale, salvifica, di redenzione e di salvezza per i fratelli e quanti stanno attorno a loro sono come ciechi, non vedono, sono come assenti, si occupano e si preoccupano solo delle cose della terra e per il corpo. Mentre Gesù pensava come poter offrire la salvezza di Dio ad una donna, loro sono intenti a pensare cosa mangiare e vogliono che il loro maestro entri nella loro stessa logica, cada cioè nelle preoccupazioni per le cose di questo mondo.
• Ma egli rispose: « Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete ».
Gesù rifiuta il loro, perché lui deve mangiare un altro cibo, che i discepoli non conoscono. Viene qui evidenziata la distanza infinita che separa Gesù dai suoi discepoli. Essi ancora non sanno cosa deve fare Gesù, qual è la sua missione, quale il compito che il Padre gli ha affidato.
• E i discepoli si domandavano l'un l'altro:«Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?>
Loro non comprendono le parole di Gesù e vanno chiedendosi se nel frattempo, durante la loro assenza, qualcun altro gli avesse portato da mangiare. Il loro è e rimane un discorso terreno, minimamente sospettano il senso o il significato vero ed autentico delle affermazioni di Gesù.
Avrebbero potuto chiedere a Gesù, ma non lo fanno, preferiscono domandarselo a vicenda. Anche questo errore bisogna evitare nella pastorale. Bisogna chiedere sempre a colui che può dare la giusta risposta; chiedere a coloro che non sanno rispondere, che non conoscono la verità, è perdita di tempo e noi di tempo ne perdiamo veramente assai, perché le nostre domande non sono rivolte a chi potrebbe dar loro una spiegazione secondo verità e nella perfetta conoscenza del mistero che avvolge una persona, la sua vocazione, la sua missione.
Anche questa è regola pastorale. Bisogna chiedere a colui che può rispondere, sbagliare persona, significa aggiungere errore ad errore, non conoscenza a non conoscenza, ma anche potrebbe condurre a dare una soluzione sbagliata ad una domanda legittima.
• Gesù disse loro: « Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
Gesù rivela ai suoi discepoli qual è la sua fame e perché in quel momento egli non si preoccupa della fame del corpo. Lui avverte in sé, nel suo cuore un’altra fame e quindi ha bisogno di mangiare un altro cibo; la fame è del suo spirito ed anche il cibo è spirituale. Lui ha fame di volontà di Dio, sente nel suo cuore questo forte desiderio di obbedienza al Padre e si può nutrire solo di compimento di volontà di Dio; facendo la volontà di Dio egli nutre la sua fame e per questo la volontà di Dio diviene il suo cibo.
Ma questo non è sufficiente. Dio ha un’opera da compiere: la salvezza dei cuori. Questa la sua missione, per questo egli è stato mandato sulla terra. Cibo di Gesù è la salvezza delle anime, la redenzione dei cuori, la giustificazione degli uomini, la loro liberazione da ogni peccato, colpa, trasgressione. Lui deve pensare solo a togliersi questa fame e se la può togliere solo compiendo l’opera che il Padre gli ha affidato.
I discepoli hanno ancora tempo per pensare al cibo del corpo; loro non conoscono la volontà di Dio, ignorano qual è la sua opera. Quando anch’essi sapranno cosa Dio vuole da loro, verrà anche per loro il tempo di avvertire questa fame spirituale, ed allora il loro cibo sarà simile a quello di Gesù, potranno colmare la loro fame nutrendosi di volontà di Dio, compiendo la sua opera, che è di salvezza e di redenzione del mondo.
Avere fame e sete di salvezza, di redenzione, questo occorre oggi al cristiano. Gesù ci ha lasciato l’esempio, ci ha mostrato come ogni momento è un’ora particolare di grazia per dissetarsi e per sfamarsi; ogni giorno, in qualsiasi ora, è possibile operare per la salvezza. Non occorre che vi sia una forma ufficiale, basta il desiderio della salvezza, basta avvertire un po’ di fame per le anime e tutto si compie, tutto si realizza. Svolgere l’apostolato alla maniera di Gesù è molto fruttuoso, produce più di qualsiasi forma ufficiale, cattedratica, stilizzata, o formalizzata. L’incontro con l’anima è unico ed anche il momento è unico, se lo si perde, generalmente si perde anche l’anima.
• Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.
È questa affermazione di Gesù un invito alla speranza. Levare gli occhi è invito a guardare fuori di noi, oltre noi stessi; è anche indicazione di una certezza: c’è un mondo che deve essere mietuto per portare il buon grano nei granai del cielo. Come è possibile mietere questa messe che già biondeggia, se gli operai non sanno neanche che vi sia una messe da mietere, se non sanno che è già l’ora della mietitura?
C’è anche nella parola di Gesù una differenza tra il tempo degli uomini e il tempo di Dio. Il tempo degli uomini segue i suoi ritmi e le sue stagioni. Il tempo di Dio invece è sempre biondeggiante, all’ultima fase del raccolto, in stato di lavorazione finale. Non ci può essere un tempo speciale per raccogliere anime nel granaio di Dio. Gesù lo ha dimostrato con la Samaritana. Se fossimo stati noi, avremmo atteso la morte e la risurrezione di Gesù, avremmo aspettato tempi migliori, avremmo per lo meno indugiato, perso del tempo prezioso, avremmo anche tergiversato, o spostato il problema per altri tempi ed altri momenti più propizi.
Noi avremmo aspettato ancora quattro mesi. Gesù invece ha mostrato come la messe già biondeggiava e lui altro non ha fatto che mieterla e condurla presso il Padre suo.
• Chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete.
Ma c’è un’altra verità che i discepoli di Gesù non dovranno mai dimenticare. Nel lavoro per il regno non deve mai esserci contrasto, opposizione, gelosia tra chi semina e chi miete; chi miete pensi anche a seminare e chi semina non si preoccupi di mietere, ci sarà sempre qualcuno che raccoglierà il frutto e lo presenterà al Padre. Ma chi raccoglie il frutto dovrà sempre riconoscere che non è merito suo, che è merito di chi ha seminato. E così mietitore e seminatore compiono un’unica opera di salvezza, producono un unico frutto da presentare a Dio.
Essendo uno il frutto e una l’opera essa viene ascritta come salario a chi semina e a chi miete. Se il salario è retribuito o per aver mietuto o per aver seminato, non deve interessare più l’ufficio o il ministero che si compie, con chi si compie e a chi si subentra nell’opera apostolica. Deve interessare invece che ognuno si dia molta cura e molta preoccupazione per essere sempre in stato di semina. Colui che subentra deve avere la gioia di raccogliere ciò che il predecessore ha seminato; chi subentra nel campo deve preoccuparsi di riprendere la semina, altrimenti colui che verrà dopo e subentrerà nel suo lavoro non potrà mietere e se non miete è il segno che non si è seminato, o si è seminato male e molto male, o non si è seminato per nulla il buon grano, perché intenti a spargere altri semi che non sono di Dio.
• Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica ».
È il pensiero conclusivo del rapporto tra chi semina e chi raccoglie. Chi raccoglie non può essere solo un raccoglitore, deve seminare per altri, perché raccolgano il frutto da lui sparso; e chi semina non deve preoccuparsi di rimanere a raccogliere, può e deve solo continuare a seminare, pur sapendo che dovrà lasciare il campo, metterlo nelle mani di altri. Se però lui avrà seminato bene, i frutti saranno certamente raccolti e il merito, il salario è anche suo. Dio glielo accrediterà come giustizia. Questa è regola pastorale da tener sempre presente nel cuore, nella volontà, nello spirito, nell’anima. C’è una sola opera, un solo campo, un solo corpo lavorativo, una sola vigna, un solo tempo, il tempo della storia. Per viverla occorre che il seminatore sia libero dall’idea che deve ad ogni costo mietere e chi miete deve anche essere grande nello spirito da pensare che lui sta semplicemente portando nel granaio un seme da lui non seminato, ma solamente raccolto e per questo deve benedire colui che lo ha preceduto e che attraverso la sua opera gli ha permesso di raccogliere un frutto abbondante di vita eterna. La storia della grazia cammina tra chi semina e chi raccoglie, ma anche tra chi raccoglie e chi si dà da fare per continuare la semina. Se questo rapporto si interrompe, si interrompe anche la salvezza e molte anime, a causa dei dissidi tra seminatori e raccoglitori, vanno in rovina, non riescono ad entrare nella salvezza, non gustano la gioia di essere redenti e salvati da Gesù Signore.
• Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che testimoniava: « Mi ha detto tutto quello che ho fatto».
Intanto Gesù raccoglie i primi frutti della semina che lui aveva operato nel cuore della donna. Anche la donna semina nella sua città l’incontro con Gesù e lo semina in modo esperienziale. Ella che di Gesù conosceva assai poco, conosceva invece quello che Gesù aveva seminato nel suo cuore. Lo raccoglie come frutto di grazia e a sua volta lo risemina nei cuori dei suoi concittadini.
Viene mietuto il primo frutto. Molti Samaritani credono in Gesù per la parola seminata dalla donna. Questo è indubbio e bisogna riconoscerlo. La parola di chi è stato trasformato nel cuore e nella mente è necessaria per la creazione della fede in altri cuori. Essa è mezzo e strumento indispensabile, se si vuole costruire il regno di Dio nel mondo. Trattasi in verità di mediazione secondaria, strumentale, di supporto allo Spirito Santo, ma sempre è da considerare necessaria nella sua strumentalità, altrimenti la fede non nasce nei cuori.
La volontà di liberare la fede sia dalla parola annunziata, sia dalla persona convertita e trasformata dallo Spirito Santo, sta facendo sì che il mondo non solo resti lontano da Dio, in quanto terra incolta, vergine, non lavorata dall’uomo, quanto anche sta sensibilmente indebolendo coloro che la fede un tempo avevano rigogliosa, forte. Costoro non donando la fede, non sentendo la necessità di testimoniarla, non considerando il loro obbligo morale da vivere sempre e comunque, a poco a poco cadono nella pigrizia e di conseguenza si lasciano conquistare dallo stesso mondo, che sta riuscendo a farli ritornare nella condizione miserevole di essere senza fede e senza carità soprannaturali, e quindi con una forte perdita anche della speranza.
La fede ha le sue leggi. Rispettarle è farla crescere ed aumentare; ignorarle invece è indebolirla, renderla fragile, spingerla verso una situazione di accidia, di pigrizia, di inesistenza. Non esiste la fede nel cuore di un uomo, contemporaneamente si eclissa la carità e la speranza soprannaturali e il cristiano vive come se Dio non esiste né per sé né per gli altri.
• E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.
La fede, seminata dalla parola del cristiano, deve condurre all’incontro personale con Gesù. Questa è l’altra legge della fede, legge che a nessuno è lecito ignorare, o tralasciare di applicare con esattezza e precisione. Se questo avviene, la fede prima o poi scomparirà, morirà. L’alimento della fede non è la persona che ha seminato la Parola, esso è Gesù e solo Lui. L’incontro con Lui è quindi vitale per la fede, pena la sua rapida morte. Come rapidamente è sorta, così rapidamente scompare se non si mette tutta la buona volontà e tutta l’attenzione di far incontrare il neo-credente con l’autore e il perfezionatore della nostra fede.
• Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
È questo il passaggio obbligato, necessario, improcrastinabile. E il passaggio è questo: dalla fede che nasce dalla parola seminata dallo strumento umano, alla fede che viene rinsaldata, rinvigorita, verificata dall’incontro diretto con Gesù. I Samaritani hanno avuto la grazia di incontrare Gesù fisicamente, noi dobbiamo incontrarlo spiritualmente, sacramentalmente, nella preghiera, nei sacramenti, nella meditazione, nell’esperienza della storia, nell’amore personale verso di Lui e in quell’incontro del cuore, che è la sede primaria dove è possibile fare l’esperienza con il Signore della nostra vita e della nostra fede.
Fatta l’esperienza personale, allora la fede si arricchisce di un qualcosa che non è stato possibile ricevere da colui che ha seminato la parola nel nostro cuore. La fede ricevuta dall’incontro diretto con Gesù si trasforma in fede personale, in acquisizione di una verità circa Gesù che solo chi lo incontra può cogliere e sperimentare. La fede ha bisogno di questo ulteriore arricchimento; ne ha bisogno perché Gesù vuole rivelarsi personalmente a colui che crede e quando si rivela, manifesta un qualcosa che l’altro non ha visto, non ha considerato, neanche suppone possa esistere. Da una fede personale compiuta, ad una fede personale ricevuta, che diviene fede personale compiuta solo dall’incontro personale con Gesù.
I Samaritani avevano appreso dalla donna che quell’uomo che le aveva rivoltato la coscienza e trasformato la vita era il Messia. “Forse”, aveva detto la donna; certamente un profeta. Ora essi confessano che Gesù è il Salvatore del mondo. La loro fede diviene completa, perfetta. Gesù è profeta, è messia, è il salvatore del mondo. Ora possono vivere nella pace, perché la loro fede è perfetta, è piena, ad essa non devono aggiungere più nulla.
Quando invece questo incontro personale non si verifica, si rimane in una fede sempre incipiente, quindi povera, ma anche dipendente dall’altro. Ora nessuna fede può fondarsi su un altro; l’altro è solo principio per la creazione della fede nel suo cuore, ma non fondamento perenne; il fondamento di ogni fede vera ed autentica è solo Gesù, lui è il principio, l’origine, l’autore, il perfezionatore ed egli opera in unità con lo Spirito Santo, il quale ha la missione di illuminare interiormente i credenti e di aiutarli con la sua luce e la sua forza ad aderire pienamente a Gesù Cristo, dopo averlo manifestato al loro cuore e alla loro mente.
Se tu conoscessi il dono di Dio
Piantati perennemente in Lui, si diviene a nostra volta dei fiumi che devono inondare il mondo nel quale viviamo in modo che chi vuole possa anche lui lasciarsi piantare lungo il corso di quest'acqua di vita eterna che risana cuore e mente, corpo e anima di quanti si dissetano di essa. L'acqua che Gesù fa sgorgare dal suo corpo è lo Spirito Santo. Chi lo attinge si disseta e disseta il mondo. Chi si rifiuta di piantarsi in Lui, secca perché arso dal vento del peccato, del vizio, dell'empietà, dell'idolatria, della falsa conoscenza di Dio. È rimanendo costantemente immersi in quest'acqua di Cristo Signore che noi potremo adorare il Padre in spirito e verità.
Nessuno si illuda. Solo Cristo Gesù può darci l'acqua della verità, grazia, santità, pace del cuore e della mente, dello spirito e dell'anima. Solo dissetandoci di questa sua acqua diveniamo a nostra volta sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna per dissetare i nostri fratelli confusi e smarriti in un deserto che sa dare solo acqua salata, la quale non solo non toglie la seta, l'aumenta in chi la beve. La donna di Samaria si lascia dissetare. Subito si trasforma anche lei in sorgente. Va nel suo villaggio e disseta tutti i suoi abitanti. Questi accorrono. Vengono da Cristo Gesù. Vogliono anche loro attingere direttamente da Lui. È la perfezione della fede: passare dall'uomo a Cristo e stringere con Lui una relazione diretta. Quando il mediatore della fede scompare, è segno che la nostra fede è divenuta adulta ed è adulta in un solo modo: quando la relazione con Cristo è diretta, quando Cristo è conosciuto personalmente.
L'Apostolo Giovanni, nella narrazione dell'incontro di Gesù con la donna Samaritana presso il pozzo di Giacobbe, ci rivela quanto potente, divina, santa, profetica deve essere la nostra parola quando entriamo in dialogo con il mondo di quanti non credono. La nostra parola, in dialogo, deve essere sempre di salvezza, verità, grazia, pace, giustizia, e per questo occorre che essa sia parola divina, profetica, di rivelazione, non solo del cuore di Dio, ma anche del cuore di chi ci sta dinanzi. Una parola non profetica, non di rivelazione, non di purissima verità, che non sgorga dalle profondità del cuore di Dio, mai potrà dirsi dialogo di salvezza. È un parlottare tra uomini. Il vero dialogo è sempre una parola dell'uomo di Dio che penetra e conquista il cuore dell'uomo non di Dio. Il vero dialogo si fa con la vera parola di Dio che è risanatrice, salvatrice, creatrice di un cuore nuovo, datrice di vera luce, portatrice di speranza.
Una donna non credente dalla Parola di Gesù è trasformata in sua vera missionaria.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci sempre la parola vera, una fede adulta, matura, perfetta.
Spunti di riflessione:
- Che cosa ha attirato di più la tua attenzione nell’atteggiamento avuto da Gesù durante il dialogo con la Samaritana? Che pedagogia ha usato per aiutare la samaritana a percepire una dimensione più profonda della vita?
- Che cosa chiama di più la tua attenzione sull’atteggiamento della Samaritana durante il dialogo con Gesù? Che influenza ha avuto lei su Gesù?
- Dove, nell’Antico Testamento, l’acqua è associata al dono della vita e al dono dello Spirito Santo?
- In quali punti l'atteggiamento del dialogo di Gesù mi interroga?
- La Samaritana ha trascinato l’argomento verso la religione. Se tu potessi trovare Gesù e parlare con lui, quale argomento vorresti trattare con lui? Perché?
- Sarà vero che adoro Dio in spirito e verità o mi appoggio ed oriento di più sui riti e sulle prescrizioni?
- La donna ha sete e Gesù ha sete ma, in realtà, chi dà da bere all’altro?
- Di che cosa ho sete? Dove vado a cercare acqua per calmare la mia sete?
- Cos'è stato nella mia vita "il dono di Dio", chi è per me Gesù Cristo?
- Quali sono le persone che mi hanno annunciato Cristo, che mi hanno accompagnato fino ad aderire a Lui nella fede?